Chi non ha mai fatto i conti con la propria fragilità è inadatto ad una relazione intima e duratura.
Dal Vangelo secondo Matteo (19,13-15)
In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli».
E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.
La pericope evangelica che leggiamo oggi nella liturgia continua ed è intimamente legata a quella ascoltata ieri sull’indissolubilità del matrimonio.
Il vero problema di un matrimonio, ma lo stesso dicasi per tante altre cose della vita, non è dove si è arrivati, ma da dove si è partiti, come si è partiti e con quali progetti e aspettative. Troppo spesso ci si approccia al matrimonio sulla base dei sentimenti, della passione, dell’innamoramento, che sono cose belle, ma transitorie. È come voler scalare l’Himalaya perché la cosa ci ispira, la desideriamo, ma senza alcuna preparazione atletica e magari con le scarpette da tennis. Basta chiedere ad uno scalatore professionista per sapere che la scalata di una montagna è l’ultimo atto di un lungo processo di preparazione atletica e tecnica, del procurarsi la giusta attrezzatura, di una forte motivazione e preparazione psicofisica. Ma, soprattutto, ci verrà detto che non si arriva a scalare l’Himalaya senza aver prima tentato di scalare montagne più piccole.
Ecco perché Gesù aveva concluso nel testo precedente che può capire il discorso sull’amore coniugale solo chi è capace comprenderlo (= prenderlo con sé, accoglierlo). Solo chi ha fatto esperienza dell’amore è capace di amare. Solo chi è cresciuto nell’esperienza dell’amore può abbracciare l’idea del matrimonio.
Il problema non è il matrimonio, ma l’incapacità ad amare secondo la misura dell’amore. E, dobbiamo dirlo fino in fondo, ci sono persone che non sono adatte al matrimonio e neanche a tutti quei suoi surrogati moderni di convivenza simil-matrimoniale. Chi non ha mai fatto i conti con la propria fragilità, con il proprio limite, con il proprio peccato, accogliendolo e nell’esperienza di venire accolti, abbracciati e amati nonostante tutto, è inadatto ad una relazione intima e duratura.