Conversione di san Paolo

Anche il peggiore persecutore di Cristo e della Chiesa può diventare un grande discepolo-missionario.

Dal Vangelo secondo Marco (16,15-18)

In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.

Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

 

 

 

La conversione di Saulo-Paolo è l’unica di cui la liturgia fa memoria in quanto emblematica di ogni autentica conversione: il passaggio, più o meno repentino, dalle tenebre-cecità del peccato, che è rifiuto Dio o perfino contrapposizione nei suoi confronti, alla Luce di Cristo, ai suoi disegni, al suo modo di agire.

Paolo fu un persecutore di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa non tanto per ateismo o per un diverso credo religioso, ma per eccesso di zelo derivante da una religiosità fondamentalista che pretendeva di sapere tutto su Dio, chi era e come agiva e doveva necessariamente agire. È questa la cecità di Paolo che si manifesta nell’incontro con Gesù ed questa la cecità che si annida in ogni zelo e fondamentalismo religioso che fa di Dio un idolo scolpito dalle nostre menti e aspettative umane.

 

 

Ma Dio è una Persona vivente, si è incarnato nella nostra storia, si è fatto uomo ed ha parlato la lingua degli uomini, ha camminato tra gli uomini, si è lasciato vedere e toccare dagli uomini, e nella sua persona vivente ha portato a compimento l’opera di amore e di salvezza annunciata fin dalla creazione del mondo. Un Dio scomodo che ha rotto ogni stereotipo umano, non lasciandosi ingabbiare dai nostri falsi miti. Un Dio che non rigetta il peccatore, ma al contrario lo cerca e gli si rivela e lo salva dalle tenebre, solo per amore gratuito.

E talvolta, come con Paolo, è necessaria una qualche rovinosa “caduta”, un fallimento, una qualche ferita salutare per poter aprire gli occhi e prendere coscienza dell’inconsistenza dei nostri falsi preconcetti nei confronti di Dio. Da quel giorno Paolo di Tarso, l’indomito persecutore, andrà in giro per il mondo ad annunciare in “debolezza”, ma con quella fermezza che deriva dalla sua personale esperienza, la Parola che salva, illumina e dona vita.