Battesimo del Signore – C

Guardando oggi alla relazione d’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito santo, impariamo anche noi a lasciarci amare da Dio.

Dal Vangelo secondo Luca (3,15-16.21-22)

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

 

 

 

Il tempo del Natale, liturgicamente, non è un semplice succedersi della narrazione degli eventi legati alla nascita del Figlio di Dio. Più propriamente, insieme ai fratelli delle chiese orientali, dovremmo invece parlare di “manifestazione-epifania” di Dio in Cristo Gesù. Dio, infatti, si è pienamente manifestato agli uomini in Cristo Gesù alla sua nascita (ai poveri e gli ultimi che nei pastori diventano “i primi”), poi ai pagani (i magi), quindi al popolo eletto di Israele nel battesimo al Giordano ed, infine, ai suoi discepoli alle nozze di Cana, per cui l’evangelista annota: “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11). Tutti questi episodi li troviamo nelle liturgie che hanno inizio proprio il 25 Dicembre e che segnano questo particolare tempo. L’apice della manifestazione di Dio l’avremo però sulla croce e quindi nelle apparizioni del Risorto a cui anche le feste natalizie ci rimandano e che sicuramente anticipano.

Questa premessa ci è necessaria per comprendere che il Battesimo di Gesù è un evento epifanico, che va letto cioè sotto la chiave della rivelazione-manifestazione di Dio. Già la prima lettura ci anticipa questo dato: “Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato” (Is 40,5).

Come dunque si rivela la gloria del Signore al Giordano? Due elementi saltano immediatamente all’occhio: Gesù, insieme a “tutto il popolo” che si riconosce peccatore, come uno dei tanti che si accostano al Battista, chiede di essere ugualmente battezzato e mentre “stava in preghiera”.

 

 

Gesù inizia il suo ministero pubblico al Giordano in silenzio – un silenzio orante – e nell’umiltà, in fila come un peccatore qualsiasi e tra i peccatori. Non è dunque Gesù a manifestarsi, ad autoglorificarsi, ma è il Padre che lo manifesta, che lo glorifica: “il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»”.

Sì, il Padre, dal cielo, vedendo il Figlio nella sua umiltà e fiducia, invia lo Spirito e rende manifesta la sua gioia, tutto il suo compiacimento per il Figlio e per l’opera che si appresta a compiere. È una manifestazione che avviene nella relazione, nella relazione d’amore il cui tramite è lo Spirito che sta tra il Padre e il Figlio. E in questa relazione d’amore si rivela pienamente l’identità e la gloria di Dio-Trinità.

Quanta tenerezza in questa relazione del Padre verso il Figlio, quella stessa tenerezza che aveva cantato Zaccaria, il padre del Battista, quando gli si sciolse la lingua dopo la nascita del figlio: “Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace” (Lc 1,78-79).

E Gesù ancora non dice una parola, non compie alcun gesto. Il suo è un rimanere nell’amore tenero del Padre; si lascia guardare, amare, avvolgere, inondare. È questo “rimanere” nell’amore del Padre, a cui ricorrerà continuamente nelle lunghe notti trascorse in preghiera, che gli permetterà di affrontare ogni sfida e di potersi infine “consegnare” totalmente al Padre nell’ultimo suo sospiro sulla croce.

È questa esperienza d’amore che permette a Gesù di dire ad ognuno di noi: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,9-11).

Guardando oggi a questa relazione d’amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito santo, impariamo anche noi a lasciarci amare da Dio. Gesù, è venuto nel mondo per riportarci tutti all’amore del Padre quali suoi figli prediletti, perché viviamo tutti nell’unità con Dio e tra di noi. E quando “rimaniamo” nell’amore del Padre veniamo immersi (questo significa la parola battesimo) dalla Grazia di Dio e inondati della sua luce e della sua gloria, secondo quanto Gesù stesso dice dei suoi discepoli: “E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me” (Gv 17,22-23).

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.