Passiamo la vita da fuggiaschi, ma il Signore ci chiede di attraversare il mare della vita senza paura, fidandoci della sua presenza accanto a noi, nel segno della sua croce.
Dal Vangelo secondo Marco (4,35-41)
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
L’esperienza del mare in tempesta è un’esperienza che la nostra generazione ha conosciuto bene fin dall’inizio del diffondersi della pandemia da Covid-19. Restano impresse indelebili nella memoria di chi vi ha assistito attraverso la televisione, le immagini di Papa Francesco che solo, in una piazza san Pietro deserta, sotto una pioggia torrenziale, commenta l’episodio evangelico e prega per l’umanità smarrita, che si avverte come impotente, sballottata da un male che la soverchia.
La versione dell’evangelista Marco che viene proclamata nella liturgia di questa domenica, si conclude con una domanda: Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?
Vogliamo, perciò, leggere questo testo a partire da questa domanda, poiché quello che vivono i discepoli in mezzo alla tempesta è un’esperienza di conoscenza, di una maggiore conoscenza di Gesù quale Figlio di Dio.
E abbiamo bisogno necessariamente di tornare al commento della scorsa Domenica, laddove scrivevamo che il regno di Dio ha bisogno di tempo e di gradualità per sprigionare tutta la sua potenza come, appunto, un seme che per germogliare, crescere e portare frutto necessita prima di marcire e poi del succedersi delle stagioni. Una corretta lettura di questo episodio necessita da una parte di questa premessa ma dall’altra anche dell’epilogo del vangelo, dell’esperienza della Chiesa nascente nel succedersi del mistero pasquale di morte, sepoltura e risurrezione di Cristo. Infatti, molti dei termini usati nella descrizione di questo episodio ci rimandano direttamente agli eventi pasquali: il dormire del Maestro che richiama il “sonno” della morte, la paura dei discepoli ora come nei giorni della morte del Cristo, il suo risveglio che mette fine alla tempesta che rimanda alla risurrezione che vince il male e la morte.
Mettendo insieme tutti questi elementi comprendiamo bene ciò che l’evangelista ci sta narrando e l’insegnamento che vuole trasmetterci, che cioè i frutti della risurrezione passano attraverso l’esperienza della passione. Lo stesso insegnamento che ascolteremo per bocca di Gesù nel Vangelo di Giovanni quando due discepoli vanno a dirgli che ci sono dei greci che vogliono vederlo: In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto (Gv 12,24).
Nel turbinio della tempesta, quella che appare umanamente come debolezza è invece potenza di Dio, così come scrive san Paolo ai Corinti e ad altri suoi destinatari: La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini (1Cor 1,18.22-25).
Ci sono momenti nella nostra vita che l’aver seguito Cristo, l’averlo fatto salire a bordo della nostra vita, l’aver avuto fede in lui, ci appare come qualcosa di inutile, insignificante, che non si presta a soluzioni immediate. Quando la tempesta del male si abbatte sulle nostre vite e Dio non risponde alle nostre richieste di soccorso, a cosa serve la fede? Quando la barca della Chiesa sembra non reggere più i marosi della persecuzione, dov’è Dio, che cosa sta facendo? Ma la vera domanda da farsi è proprio quella che fanno i discepoli: Maestro, cosa t’importa veramente? Cosa è veramente importante per te? Siamo importanti per te? E di conseguenza: Perché il male? Perché la croce? Perché la morte?
Il “svegliarsi” di Gesù ci da la risposta: sì siamo importanti per lui, talmente importanti che lui stesso è entrato dentro la tempesta, si è inabissato nel male e nella morte e l’ha sconfitti dal suo interno, standoci dentro. È proprio da dentro il male che Dio ha sconfitto il male. Cosa che a noi fa tremare i polsi di paura come ai discepoli che non vogliono stare nella tempesta, nonostante abbiano Gesù così vicino. Ma è questa la via obbligata per conoscere chi è veramente Gesù e la potenza della sua croce. Solo quando avremo il coraggio di scendere nell’abisso del male che ci abita o che ci travolge dal di fuori, quando avremo il coraggio di aggrapparci alla croce di Cristo e di consegnargli le nostre vite, sperimenteremo la potenza del Risorto gustandone i frutti.
Passiamo la vita a fuggire a gambe levate il male, ogni male, e il momento della nostra morte. Passiamo la vita da fuggiaschi, ma il Signore ci chiede di attraversare il mare della vita senza paura, fidandoci della sua presenza accanto a noi, nel segno della sua croce, nel segno di un Dio crocifisso e morto dentro un sepolcro. Ma sarà proprio nell’occhio del ciclone che sperimenteremo la potenza di Dio. È quando saremo lì lì per rassegnarci al male, al “non c’è più nulla da fare”, che si renderà visibile la potenza della fede nel Risorto che ha già vinto per noi anche la morte.
Come un padre che si butta in mezzo alle onde per salvare il proprio figlio che sta annegando a costo della propria vita, così Dio si è gettato in mezzo al male per salvarci a prezzo della sua vita. Nella sua morte c’è la nostra salvezza. È proprio nel mezzo della tempesta, non schivandola, che si manifesta la sua potenza. Paradossalmente è proprio quando siamo nel pieno della battaglia consapevoli della nostra impotenza che si snuda il braccio potente di Dio. Se non affronteremo, vis-à-vis, le nostri peggiori paure confidando nel Signore, non sperimenteremo la sua sorprendente potenza.
Per la maggior parte di noi il contrario della fede è l’incredulità. Niente di più sbagliato! Il contrario della fede è la paura, chi si fida e confida nel Signore non teme alcunché. Perciò, chiediamoci oggi cosa ci fa più paura? Da cosa stiamo fuggendo? E sentiamo rivolta a noi personalmente la domanda di Gesù: Perché hai paura? Non hai ancora fede? Non ti fidi ancora di me? Chi sono io per te?
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.