XIII Domenica T.O. – A

Dio vuole legarci a sé per poter amare le persone e le cose in maniera libera e così gustare quel “di più” che egli tiene in serbo per i suoi discepoli.

Dal Vangelo secondo Matteo (10,37-42)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

 

 

Il brano evangelico di questa domenica contiene l’ultima parte del discorso missionario rivolto da Gesù ai suoi discepoli. Questo Vangelo è anticipato ed è compimento di quanto ascoltato nella prima lettura dal primo libro dei Re. Si tratta dell’episodio in cui il profeta Eliseo, ospite gradito di una donna facoltosa che appositamente per il profeta aveva fatto allestire una camera al piano superiore della sua abitazione perché vi si potesse ritirare ogni volta che fosse passato dalla sua famiglia. Una famiglia agiata, costituita però solo dall’anziano marito e da sua moglie poiché non avevano potuto avere figli. Il profeta perciò ringrazierà la donna di tutte le sue premure con la promessa che l’anno appresso ella avrebbe tenuto in braccio un suo figlio.

Questa donna non ha chiesto nulla al profeta Eliseo, non ha chiesto nessuna “grazia” per la sua generosità, gli fa semplicemente posto nella sua casa e nella sua vita quasi fosse il figlio tanto desiderato. È il profeta a prendere l’iniziativa e ringraziarla con l’ardita promessa.

Così dunque leggiamo oggi nel Vangelo dalla bocca di Gesù: Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me… Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta. Il parallelismo tra queste parole e l’episodio della donna di Sunem è troppo evidente. Ai suoi discepoli che sta per inviare in missione, da una parte impauriti riguardo a ciò che può riservargli il futuro, ma dall’altra anche un po’ frenati da ciò che dovranno lasciarsi alle spalle, Gesù dice di non assolutizzare né le relazioni con genitori e figli né la propria stessa vita, né la propria posizione o reputazione sociale. Ai suoi discepoli Gesù chiede la libertà necessaria a seguirlo e ad annunciarlo. Se si è dipendenti “da” qualcosa o qualcuno non si potrà essere liberi “con” quel qualcosa o qualcuno. Quante persone vivono sotto il condizionamento di quelle persone e quelle cose a cui hanno attaccato la propria vita. Sostengono di essere persone libere che scelgono liberamente, ma sanno bene più o meno consapevolmente – e si vede nel loro modo di compiere le scelte fondamentali della vita – che ci sono dei limiti invalicabili che proprio quelle cose o persone hanno stabilito per essi aprioristicamente e indipendentemente da essi.

 

Quanti giovani hanno dovuto zittire la propria coscienza e la propria attrazione per la vita consacrata perché “ricattati” affettivamente o persino minacciati di chissà quali ritorsioni dai propri genitori. Quanti altri hanno chiuso in un cassetto il sogno di Dio sulla loro vita in chiave missionaria ed evangelizzatrice perché hanno assolutizzato il loro personale sogno di mettere su famiglia, la propria indipendenza economica o la propria affermazione professionale.
Gesù e la sua missione, se mai continuano ad avere un posto nella loro vita, sono relegati al tempo libero, a ciò che rimane rispetto a ciò che è ritenuto più importante e prioritario.

Ecco perché Gesù parla di due vite, la propria vita e una vita più grande, superiore; una da perdere e una da trovare. San Paolo oggi nella seconda lettura afferma che chi è stato battezzato, ha sepolto la propria vita nella morte di Cristo e ne ha ricevuta una nuova nella sua risurrezione.

La vita cristiana, la vita nuova nel Risorto, la vita di un autentico discepolo-missionario di Cristo, è segnata da un “di più” che è Dio. Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è il “di più”, la “parte migliore” della propria esistenza per cui tutto il resto diventa relativo: genitori, figli, fratelli o sorelle, lavoro, carriera, ambizioni, amicizie, passato, presente e futuro, e tutto ciò che può rappresentare un limite alla relazione con Gesù e alla disponibilità per lui. Non si tratta di amare Dio a dispetto di tutto il resto, ma di amare tutto ciò che Dio ci ha dato senza instaurare delle dipendenze limitanti: amare i genitori senza dipendere da essi nelle proprie scelte di vita; amare i propri figli senza diventare schiavi dei loro capricci o della propria genitorialità; amare il proprio lavoro senza per esso trascurare la cura di sé e le relazioni affettive e amicali. Nelle cose del mondo ciò che si ama diventa automaticamente arbitro delle proprie scelte, invece quando si ama Dio al di sopra di tutto e tutti, si diventa persone libere di amare ogni cosa o persona. Dio ci chiama a non legarci tra noi e alle cose, ma a legarci a lui per amare le persone e le cose in maniera libera.

Se faremo così, allora avremo la “ricompensa del profeta”, avremo cioè tutto ciò che riteniamo di aver perso irrimediabilmente e di una qualità superiore: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna (Mt 19,29). Sperimenteremo una paternità, quella di Dio, cento volte più forte di qualsiasi paternità umana; sperimenteremo una fecondità, quella spirituale, cento volte più appagante di qualsiasi genitorialità umana; sperimenteremo una fraternità, quella ecclesiale e universale, che nessun fratello o sorella di sangue potrà mai lontanamente equiparare. Dio è il nostro “di più” che unicamente può darci quel “di più” che il mondo non potrà mai a darci.

La proposta di vita evangelica, discepolare e missionaria, che Cristo propone non è qualcosa per gente che si accontenta di vivere nella mediocrità. La proposta di Gesù è per gente che non si accontenta di vivacchiare nei limiti delle proprie possibilità e di quelle che il mondo gli concede, è per gente che vuole vivere in pienezza quel “di più” della vita che solo il Padre di Gesù Cristo, Dio dell’impossibile, è capace di offrire.

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.