Ogni cosa che per noi rappresenta un bene irrinunciabile, costituisce un legame che ci impedisce scelte libere e responsabili.
Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
«Siccome molte folle andavano con lui, Gesù si voltò e disse…»: Gesù non esita a mettere in guardia i tanti che lo seguono, attratti dalla sua autorevolezza, e pone tutti di fronte alle esigenze radicali della sequela, anche a costo di scoraggiare chi si candida con troppa facilità a seguirlo (cf. Lc 9,57-62). Colpisce il fatto che questa preoccupazione di Gesù non sia la nostra: anzi, siamo così spesso in ansia per la scarsità dei cristiani “praticanti”… che siamo ben disposti a chiudere uno se non entrambi gli occhi di fronte alle innumerevoli tiepidezze, contraddizioni e contro-testimonianze che si manifestano dall’interno delle nostre comunità.
Ebbene, per ben tre volte nel brano evangelico odierno Gesù parla di un’impossibilità – non può essere mio discepolo – e annuncia che vi sono alcune rinunce “preliminari” da compiere per stare alla sua sequela, pena il fallimento della sequela stessa: rinunce però che hanno senso solo se vissute liberamente e per amore di Gesù Cristo, non per costrizione o spirito di schiavitù, magari mascherato da virtù!
Ed è importante sottolineare che non si sta parlando di rinunce da fare “dopo” che si è scelto seriamente di seguire Gesù, bensì “prima”. Le due parabole che Gesù offre per spiegare il senso delle sue richieste sono chiare: Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?
Essere discepoli del Signore richiede una pre-condizione: non avere il cuore schiavo di alcune cose, non essere dipendenti da alcune situazioni. Ciò significa, al contrario, che il discepolato esige come condizione essenziale la libertà del cuore da ogni sorta di legame che non sia col Maestro Gesù.
Noi siamo portati a mettere l’accento sulle cose a cui ci viene chiesto di rinunciare. Gesù, invece parla di libertà. Infatti, ogni cosa che per noi rappresenta un bene irrinunciabile, un possesso di cui non si può fare assolutamente a meno, di per sé è un legame che ci impedisce una sequela libera fino al punto non affatto trascurabile di dare la propria vita per Gesù e il suo Vangelo.
Se il denaro, per esempio, è per me qualcosa di intoccabile, condizionerà sicuramente il mio modo di amare e di servire Cristo nei poveri e nei bisognosi. Se i legami relazionali – amici, parenti, etc. – sono intoccabili, ciò condizionerà i tempi e gli spazi del servizio e della missione. Tutto ciò che mettiamo “avanti” a Gesù e alla comunità condizionerà inevitabilmente i tempi, i modi e gli spazi della sequela. Perciò è su questo “prima” che occorre prestare molta attenzione, altrimenti saremo come quei cagnolini che uscendo in strada prendono la corsa finché il guinzaglio nella mano del padrone non bloccherà inesorabilmente ogni illusione di libertà. Spesso ci percepiamo liberi nella sequela di Cristo come in tante altre situazioni della vita, ma in verità lo spazio di azione e i tempi sono condizionati da tutto ciò e tutti coloro a cui siamo legati a doppio filo.
Mettendo per un momento da parte la sequela Christi strettamente detta, pensiamo a quanti matrimoni entrano in crisi o persino falliscono quando vengono condizionati dai legami con i propri genitori da parte dei coniugi. Ma anche in questo caso Dio è stato esplicito fin dalla creazione del mondo: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne (Gen 2,24).
Riguardo i legami materiali occorre essere chiari: non è questione di quanto più o meno si possegga, ma se sono libero di usarne o, al contrario, sono i beni materiali a condizionarmi nel loro uso e in definitiva sono da essi posseduto/condizionato. Si tratta semplicemente di saperli usare a servizio dei fratelli, di saperli condividere con gioia, senza lasciarsi definire da essi o rendere schiavi dalla malattia del possesso e dell’avarizia.
Il discepolo, dunque, è chiamato non solo a incominciare ma anche a portare a compimento la sua sequela. Sì, la vita cristiana non è questione di un momento o di una stagione, ma richiede perseveranza fino alla fine, fino alla morte. E la perseveranza esige un grande amore per Gesù Cristo, l’amore da cui nasce la disponibilità ad andare liberamente con lui anche dove noi non vorremmo.
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.