Siamo fatti per amare e per essere amati. Senza amore, ricevuto e donato, ci condanniamo all’isolamento, alla tristezza, ad una non-vita.
Dal Vangelo secondo Matteo (22,34-40)
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».
La prima lettura, che come sempre funge da preludio al Vangelo della Domenica, oggi è tratta dal libro dell’Esodo e riguarda la legge di Israele nella parte che interessa la relazione con l’altro, in particolare il povero. E come ogni legge, la sua forza sta nell’opporre delle sanzioni verso i suoi trasgressori. E qui, come leggiamo, sono abbastanza forti, fino alla minaccia di morte di spada. Questo linguaggio non deve stupirci, poiché la Legge di Israele è la sua vita, ecco perché è anche chiamata in Esodo, come nel Levitico e in tanti altri libri della Bibbia, via della vita. Il suo contrario, cioè la sua trasgressione, costituisce la morte del popolo.
Questo linguaggio è sicuramente lontano dalla nostra sensibilità moderna, ma rimane vero il principio che ogni popolo si identifica nelle sue leggi costitutive da cui derivano tutte le altre che regolano la vita quotidiana. Esse altro non sono che il riflesso del sentire comune di un popolo e perciò la sua identità. Quando le leggi costituzionali vengono sovvertite ovvero vengono sospese, significa che qualcosa di grave sta accadendo, dal colpo di stato alla dittatura.
Ma in Israele la Legge e le sanzioni connesse, per quanto siano radicali, dicono anche qualcos’altro, parlano di un intervento divino poiché il rifiuto di osservare la legge equivale al rifiuto di Dio stesso che l’ha donata. Infatti, ogniqualvolta Israele si pone in una situazione di disobbedienza o di sovversione della Legge, in maniera plateale o nascosta, è perché si sta “prostituendo” agli idoli pagani. Ciò che viene sottinteso nelle sanzioni non è tanto la violazione tout court delle leggi, ma il rifiuto di Dio.
Tutto questo discorso lo ritroviamo nel Vangelo di oggi quando appunto Gesù dichiara che il comandamento dell’amore di Dio e quello del prossimo sono simili. Se ne manca uno manca anche l’altro. Da questi due comandamenti intimamente connessi dipendono tutte le leggi particolari. Ed è bello, sulla base di quanto abbiamo detto sopra, che la Costituzione di Israele è basata sull’amore per Dio e per il prossimo. Ogni altra legge ha a che fare sempre sia con l’uno che con l’altro.
Gesù, dunque, non dice niente di nuovo rispetto alla tradizione, particolarmente quella profetica. Ma dice forse qualcosa di nuovo rispetto al nostro sentire cosiddetto moderno. Tranne forse la Costituzione americana in cui si parla del diritto ad essere felici, ma non certamente del dovere di essere felici, nella Legge biblico-evangelica si parla del dovere di amare, amare Dio e amare il prossimo. E questo non per il capriccio sentimentalistico di chissà chi, ma perché l’alternativa è la morte. In sintesi, il comandamento dell’amore ci dice che senza l’amore siamo condannati alla morte.
Senza l’amore siamo solo dei superstiti della vita, dei sopravviventi. L’uomo ha necessità – ecco il perché del comandamento – di avere e mantenere un sano rapporto con Dio e con il prossimo. Ma anche totalizzante: con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente. Per essere autentici non possiamo amare a metà o tre quarti, occasionalmente o quando mi va. L’amore non è un optional della vita ma ciò che da valore e senso alla vita. Siamo fatti per amare e per essere amati. Senza amore, ricevuto e donato, ci condanniamo all’isolamento, alla tristezza, ad una non-vita.
Ma per amare liberamente e generosamente abbiamo bisogno di aver fatto l’esperienza di essere stati amati con libertà e gratuità. E questo amore generoso, gratuito, libero ce lo può dare solo Dio che è grazia-gratuità infinita. Noi amiamo, dice l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera, perché Dio ci ha amati per primo e non possiamo non amare chi ci ama così poiché l’amore è autorigenerativo, si alimenta dell’amore.
Ecco allora il senso del comandamento dell’amore: esso nasce dall’amore che Dio ha per noi perché sa che senza l’amore non possiamo vivere. In fondo, come già nel primo comandamento all’uomo nel giardino dell’Eden – quello di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male –, Dio si dimostra teneramente e profondamente preoccupato per noi: altrimenti morirete!
Oggi, piuttosto che guardare ad un comando, guardiamo al comandamento dell’amore come ad un atto di custodia di Dio nei nostri confronti. Già nel darci questo comando, Dio ci sta offrendo tutto il suo amore perché noi viviamo una vita degna di tale nome. E a partire da questo atto di amore, procuriamoci di diffondere vita e non morte amando chiunque oggi incontreremo sulla nostra strada. Perché – e questo è il vero dramma troppo sottovalutato dai più – quando non amiamo Dio e/o il prossimo, li stiamo di fatto eliminando dal nostro cuore e dal nostro orizzonte, ovvero ci stiamo “suicidando” eliminandoci dal loro cuore e dal loro orizzonte, dal cuore stesso di Dio e dal suo orizzonte che è la vita eterna.
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.