Saremo perfetti solo quando permetteremo a Dio di dimorare in noi per mezzo dell’amore.
Dal Vangelo secondo Matteo (5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
In continuità con il brano evangelico di domenica scorsa, ascoltiamo oggi le ultime due cosiddette «antitesi» stabilite da Gesù tra l’interpretazione riduttiva della Legge e la novità della sua proposta, che fa risalire all’intenzione di Dio stesso. Qual è, in sintesi, la «giustizia superiore» (cfr. Mt 5,20) che Gesù richiede ai suoi discepoli? È l’amore per il prossimo (cfr. Mt 19,19; 22,37), finanche per il nemico.
Ma come si può “amare” un nemico trattandolo al pari di un amico? Come si può “annullare” la nostra natura di uomini, i nostri più naturali sentimenti, per essere, in una parola, “perfetti” della stessa perfezione di Dio? Come si può essere santi – così leggiamo oggi nella prima lettura dal libro del Levitico – come lo è Dio? Se l’uomo può essere perfetto, santo, giusto, misericordioso, buono come lo è Dio, allora non c’è alcuna differenza tra l’uomo e Dio?
L’uomo è peccatore, lo sappiamo bene per esperienza, e per quanto si sforzi di annullare la distanza con Dio che il peccato produce, non riuscirà mai ad essere come Dio. Dio è Dio e l’uomo è uomo e tra i due c’è un abisso che li separa. Proprio la Bibbia nei primissimi suoi capitoli, nel libro della Genesi, ci mostra come proprio il tentativo da parte dell’uomo di essere come Dio è l’origine di ogni peccato. Ciò che voleva essere un atto teso a diventare come Dio è stata l’origine della separazione, di ogni separazione.
Qual è dunque la strada che può sanare questa frattura, che può ricongiungere l’uomo a Dio per essere santi e perfetti come lo è lui? Questa strada, l’unica Via percorribile, è il Figlio di Dio, Gesù Cristo, l’unico mediatore tra il cielo e la terra (cfr 1Tm 2,5).
Finché impostiamo la nostra relazione mettendo a confronto Dio e l’uomo, allora sperimenteremo solo la nostra imperfezione di fronte a colui che è perfezione assoluta, il nostro peccato di fronte alla sua santità. Ma se, come afferma Gesù nel testo odierno, ci poniamo di fronte a Dio nella sua qualità di Padre e nella nostra qualità di figli, tutto cambia. Siamo figli di Dio perché Gesù, il Figlio, ci ha resi tali. Gesù ha ricucito la relazione infranta con Dio facendosi “ponte” tra Dio e l’uomo non secondo la categoria dell’osservanza di una legge, ma secondo la categoria dell’amore. Ogni volta che percorriamo la via dell’amore, del perdono, della misericordia, ci ricongiungiamo a Dio, sperimentiamo la profonda relazione tra lui, Padre, e noi, suoi figli.
Saremo santi, giusti, perfetti, solo nella misura in cui ameremo come lui ci ha amati poiché Dio è amore e, come scrive l’apostolo Giovanni, “se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1Gv 4,12).
Saremo perfetti non quando diventeremo capaci di vivere ogni norma e precetto morale contenuti nella scrittura, ma solo quando permetteremo a Dio di dimorare in noi per mezzo dell’amore: “Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1Gv 4,16).
Non siamo noi a doverci sforzare di amare Dio e il prossimo, anche il nemico, ma dobbiamo semplicemente accogliere l’amore di Dio per noi. Infatti, “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19). Il vero ostacolo alla nostra santità non è la nostra incapacità di amare, ma il nostro non volerci lasciare amare da Dio, non permettergli di amarci a motivo della nostra superbia, del non riconoscere di avere bisogno di lui e della sua salvezza.
Il problema dell’uomo di ieri e di oggi è proprio quello di non ritenersi bisognoso di Dio, di non farsene nulla di lui e del suo amore, di poter essere ognuno il dio di sé stesso. Quante volte dovremo cadere rovinosamente a terra per comprendere che Dio ci ama “e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10)? Quando saremo disposti a riconoscere il nostro peccato, la frattura enorme che ci separa da Dio, dalla perfezione a cui aspiriamo, dalla santità e da una giustizia vera e per tutti, così da aprirci finalmente all’amore di Dio per noi che ci viene dato per mezzo del suo Figlio Gesù?
“Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono” (Ap 3,20-21).
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.