IV Domenica di Pasqua – A

Gesù non è venuto a chiamare “pecoroni” che si adeguano al sistema per il loro quieto vivere, ma “discepoli” che lo seguono con piena e orgogliosa libertà.

Dal Vangelo secondo Giovanni (10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante.
Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

 

 

 

Il testo evangelico proclamato in questa Domenica di Pasqua, inizio del decimo capitolo del Vangelo secondo Giovanni, va necessariamente letto in continuità con l’episodio che lo precede al capitolo 9 e che abbiamo ascoltato nella quarta Domenica di Quaresima.
L’episodio in questione è quello della guarigione del cieco nato che si conclude in maniera paradossale: piuttosto che gioire per la guarigione di quest’uomo, cieco dalla nascita, i farisei lo cacciano fuori; fuori dal tempio come un eretico e un pagano poiché ha professato la sua fede in Gesù testimoniando in suo favore.

Se abbiamo davanti agli occhi questa situazione comprendiamo meglio le parole di Gesù ascoltate in questa Domenica. Nel linguaggio biblico-religioso le pecore rappresentano i fedeli israeliti di cui Dio è il Pastore mentre il recinto è il luogo delimitato del tempio entro cui potevano entrare solo le pecore-fedeli. Il tempio, infatti, era costituito da spazi che, come a cerchi concentrici, man mano che ci si avvicinava alla “dimora” dell’Altissimo, limitava sempre più l’accesso a varie tipologie di persone. Nella parte più distante, come una piazza, c’era il cosiddetto Cortile dei Gentili a cui poteva accedere chiunque. Da questo spazio, attraversando il cosiddetto Portico di Salomone, si accedeva al cosiddetto “recinto”, lo spazio sacro vero e proprio riservato agli israeliti. Chi intendeva raggiungere il secondo piazzale lo trovava circondato da una balaustra di pietra, di circa un metro e mezzo di altezza e finemente lavorata. Su di essa, a uguali intervalli, erano collocate delle lapidi che rammentavano la legge della purificazione, alcune in lingua greca, altre in latino, perché nessuno straniero entrasse nel “recinto”. Le iscrizioni dicevano: “Nessun estraneo oltrepassi la balaustra e il recinto attorno al santuario. Chiunque preso sarà reo della propria morte”.
Questo spazio che circondava il santuario vero e proprio risponde alla logica che i rabbini più tardi descrivono come “la siepe attorno alla torah”, la cui funzione era di preservare la torah, e in genere, tutto ciò che è sacro, e impedire possibili trasgressioni.

 

 

Fatta questa doverosa premessa, ecco che adesso il discorso di Gesù si illumina. Egli dice di sé stesso di essere la “porta” del recinto delle pecore e anche il loro vero Pastore: “Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori”; “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.

Gesù, come vero Pastore d’Israele è venuto a trarre fuori le sue pecore dal recinto delle leggi antiche, delle prescrizioni e dei divieti. Quante volte, come anche nel caso del cieco nato, sono stati ignorati i segni compiuti da Gesù, indice palese della sua condizione divina, per concentrarsi sulla violazione delle prescrizioni sul “Sabato”. Per gli scribi e i farisei Gesù non può avere niente a che fare con Dio poiché viola apertamente il Sabato, non osserva il digiuno, va a mensa con i peccatori, si lascia avvicinare da donne e bambini, e così via.

Gesù, come dichiara apertamente nel Vangelo secondo Matteo, non è venuto ad abolire la Legge d’Israele, ma a darle compimento, quel “compimento” che, scrive san Paolo, è l’amore.
Come ascoltiamo oggi al termine del suo discorso, Gesù è venuto a chiamare le sue pecore “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Perciò è importante che esse escano fuori dal recinto, anche gettate fuori in malo modo come il cieco guarito, ma attraverso una chiara e decisa professione di fede in Gesù, l’unica porta che introduce ai pascoli della comunione con Dio e della vita eterna.

Nessuno, perciò, può dirsi cristiano solo perché osserva i comandamenti e i precetti cristiani, senza una piena professione pubblica della propria fede in Gesù, anche a costo di essere “gettato fuori” come un malfattore dal consesso pubblico.

Oggi, come dagli albori della Chiesa, professarsi cristiani pubblicamente, con una coerente testimonianza di vita cristiana, comporta il rischio di essere derisi o malgiudicati se non di subire una vera e propria persecuzione morale – in alcune nazioni anche fisica – ovvero l’esclusione da certi ambienti sociali, culturali o lavorativi. Oggi, soprattutto nel nostro occidente libero e democratico, esistono dei “recinti” – i recinti del politically correct secondo la cultura e la politica dominante – entro i quali non c’è posto per i cristiani dichiarati e per le loro idee. Ma quello che può rappresentare un problema e per cui tanti cristiani nascondo la propria identità in pubblico, per Gesù non lo è affatto. Gesù non è venuto a chiamare “pecoroni” che si adeguano al “sistema” per il loro quieto vivere, ma “discepoli” che, conoscendo la Parola del Maestro e buon Pastore, lo seguono, lo testimoniano e lo annunciano con piena e orgogliosa libertà.

 

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.

 

 

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