Gesù, il Figlio amato, è sempre con noi.
Dal Vangelo secondo Marco (9,2-10)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
La prima lettura odierna, tratta dal capitolo 7 del profeta Daniele, ci aiuta a comprendere meglio il senso di questa solennità collegata all’evento della trasfigurazione di Gesù.
Ci viene subito detto che quella del profeta è una visione che avviene di notte: “Io, Daniele, guardavo nella mia visione notturna…” (Dn 7,2). È paradossale questa visione, poiché avviene in un momento, la notte, in cui è impossibile vedere o, comunque, non in maniera nitida. E questo perché la notte, il buio fitto a cui fa riferimento il profeta Daniele, non è tanto quello dato dall’assenza della luce solare del giorno, ma rappresenta il momento storico che sta attraversando Israele, sottomesso al potere crudele e idolatrico di Antioco Epifane. Questo tempo di oppressione è quella notte oscura in cui umanamente non si intravede alcuna via d’uscita, ma che Dio riesce lo stesso a illuminare per il profeta. Daniele deve vedere che c’è un potere più forte di quello di Antioco, che c’è un potere che come fuoco può squarciare le tenebre dell’oppressione.
Dio è fatto così, quando le tenebre ci avvolgono, in mezzo al buio fitto della mente e del cuore, nel mezzo delle nostre rassegnazioni, apre sempre uno spiraglio di luce. Sta a noi, come sentinelle, saper guardare lontano, tenendo aperto e fisso lo sguardo all’orizzonte di Dio. Non è superfluo ricordarci in questo contesto che il momento più significativo della storia della salvezza, la vittoria sul male, sul peccato e sulla morte, avviene in un contesto di buio. L’arresto, il processo e la passione di Gesù Cristo avvengono di notte, la sua morte viene accompagnata da un’eclissi solare, la sua risurrezione avviene da dentro un sepolcro sigillato dall’esterno.
Ed è quello che i discepoli di Gesù devono ben comprendere. Il Maestro aveva loro preannunciato che avrebbe dovuto “soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (Mc 8,31). Ma Pietro si ribella a questi pensieri oscuri di passione e morte e che gli restavano oscuri nel loro significato. Si beccherà un aspro rimprovero da parte di Gesù che per giunta rincara la dose: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà” (Mc 8,34-35). Discorsi da far tremare le vene ai polsi! I discepoli di Gesù sapevano bene cosa era una crocifissione, cosa significava il termine giuridico “prendere la croce”. Chi veniva condannato a prendere la croce, non era più padrone di nulla, la sua vita non valeva più nulla, era solo carne da macello da mettere appesa per giorni e settimane in pasto agli uccelli rapaci.
Ma Gesù aveva parlato anche di risurrezione, aveva acceso una luce nel buio di quell’immagine di sofferenza e di morte. Ma i discepoli non la vedono né la intendono.
È in questo contesto di buio fitto che stringe il loro cuore che Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li porta su un monte alto, espressione biblica con cui si intende un luogo-momento in cui Dio si manifesta e si rivela. Questi tre discepoli, chiamati ad avere un ruolo per così dire “strategico” nella Chiesa nascente, devono imparare a vedere nella notte. Pietro, infatti, dovrà guidare e tenere unita la Chiesa superando le divisioni interne e confermandola nella fede in Cristo, Giacomo sarà messo a capo della Chiesa-madre di Gerusalemme, la prima a subire persecuzione e violenza da parte giudaica, ed infine Giovanni, il discepolo amato a cui sarà affidata Maria, Madre della Chiesa, e che sarà chiamato a custodire e incoraggiare la Chiesa in uno dei suoi più drammatici momenti di persecuzione da parte dei romani.
Dunque, Gesù “fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù”. La notte si illumina, da quel corpo che i discepoli già immaginavano straziato, lacerato, trafitto, si sprigiona una luce intensa che svela la vera e profonda identità divina di Gesù. Elia e Mosè, i due pilastri dell’Antica Alleanza, simbolo di tutta la storia di Israele narrata nelle Scritture, rappresentanti del favore e delle benedizioni di Dio per il suo popolo, dialogano con Gesù, sono in relazione con Gesù che è posto al centro. Gesù è il compimento della storia della salvezza, tutto converge su di lui, ed ha un potere sovrumano, una luce e uno splendore impossibili potersi dare da sé stesso a nessun uomo.
Era di questo che avevano bisogno quei discepoli. È di questo che abbiamo bisogno ognuno di noi quando attraversiamo la valle oscura della paura, del dolore, dell’oppressione, della persecuzione, della malattia, della precarietà del vivere in tutti i suoi aspetti, materiali, morali e spirituali. È per noi questa parola che viene dal cielo: Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!
E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Quando non si intravede alcuna luce in fondo al tunnel, quando non ci sono più punti di riferimento a guidarci, quando non c’è più nulla a cui aggrapparci e ci sentiamo soli e smarriti, ricordiamoci che Gesù, il Figlio di Dio, è sempre con noi, è con me ed è con te, solo lui e io, solo tu e lui. In questi momenti di solitudine con Gesù, ricordiamoci di questa parola del Padre: Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo! Fidatevi di lui, seguitelo, e lasciatevi condurre all’alba nuova che sorge all’orizzonte. Con il salmista, preghiamo: Tu, Signore, sei il mio pastore… Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. (Sal 23,4).
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.