Abbeverarsi a Francesco

Francesco non fa altro che restituirci Gesù. Egli è quell’abbeveratorio che contiene e distribuisce a profusione l’acqua stessa del Signore. Non è Francesco l’acqua che disseta, ma Cristo Gesù che ci raggiunge attraverso Francesco.

Quando penso al poverello di Assisi, chissà perché, mi viene sempre alla mente la sua tomba, sotto le due maestose basiliche a lui dedicate nella cittadella umbra. Non tanto, però, il piccolo e sotterraneo locale a cui si accede dalla Basilica Inferiore, piuttosto il sarcofago vero e proprio che custodisce la cassa con le spoglie mortali del santo. Secondo gli storici, tale sarcofago di pietra, pesante dodici quintali, al cui interno è collocata la cassa funebre, fino alla seconda metà del 1400 era senza coperchio in modo tale che i fedeli, da una grata posta dinanzi l’altare maggiore della Basilica inferiore, potessero vedere la cassa e onorare il corpo del santo. A parere di alcuni, tale sarcofago di pietra altro non era, in origine, che un abbeveratoio. Non posso dire con certezza che tale ipotesi sia attendibile, ma a me piace, ogni volta che scendo nella cripta, vedere in esso proprio un abbeveratoio dal cui interno, da otto secoli, tracima l’acqua pura della vocazione francescana, dissetando tutti coloro che vi vogliono attingere.

Lungo gli otto secoli che ci separano dalle origini del francescanesimo tante e forse anche superflue sono state le interpretazioni e le sovrapposizioni alla vocazione che Francesco ci ha lasciato in eredità. C’è chi ha voluto esaltarlo come modello di povertà, altri di fraternità, altri ancora di umiltà, di ecologismo, di ecumenismo… Tutte qualità vere, ma se prese a se stanti o facendole prevalere le une sulle altre, fanno semplicemente un torto a San Francesco e al suo carisma e alla spiritualità che dovrebbero contraddistinguere ogni francescano.

Allora, quel sarcofago-abbeveratorio ogni volta mi ricorda che Francesco è questa sorgente inesauribile che continuamente riversa il suo contenuto che, come da ogni sorgente, si allarga e distribuisce in mille rigagnoli. Nessuno può dire che il rigagnolo che ha di fronte è tutta l’acqua o la vera acqua che proviene dalla sorgente. Esso ne è una parte, per quanto significativa, e non è né diversa né più o meno importante da quella che scorre in altri rigagnoli. Pertanto è proprio lì, da dove tutto sgorga, che puoi comprendere la vera vocazione e spiritualità francescana. È da san Francesco stesso, dalla sua persona, dalla sua vita, dai suoi gesti, dalle sue scelte radicali, dai suoi scritti, che si può capire chi egli era e cosa voleva per se e per i suoi seguaci come risposta alla vocazione-missione a cui Cristo stesso l’aveva chiamato.

Francesco fu ed è, al pari della samaritana incontrata da Gesù al pozzo di Giacobbe (cfr Gv 4), uno che si è lasciato riempire da Cristo, acqua viva, fino a diventare a sua volta “sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14). Francesco non fa altro che restituirci Gesù. Egli è quell’abbeveratorio che contiene e distribuisce a profusione l’acqua stessa del Signore. Non è Francesco l’acqua che disseta, ma Cristo Gesù che ci raggiunge attraverso Francesco.

Confondere le cose è pericoloso. Pochi giorni or sono, al termine di un incontro di formazione, una responsabile di un gruppo giovanile francescano mi ha detto, in risposta alla mia proposta di un cammino centrato sul Vangelo: Noi preferiamo fare un cammino più francescano, perciò abbiamo scelto di parlare di san Francesco, della sua storia, di quello che ha fatto. Personalmente sono persuaso che Francesco è stato Alter Christus proprio per i motivi di cui sopra e che non si può parlare di Francesco senza parlare di Cristo. Ma, pur essendo Alter Christus, Francesco non è Cristo! È un modo per vivere la propria vita in Cristo, una via per vivere la vita evangelica, una missione all’interno della Chiesa.

Ho scolpite nella mente e nel cuore le parole di P. Raniero Cantalamessa pronunciate dinanzi a un migliaio di confratelli riuniti in Assisi in rappresentanza dei frati di tutto il mondo e di tutte le denominazioni, in occasione dell’VIII centenario delle origini dell’Ordine: «Quando Francesco guardava indietro vedeva Cristo; quando noi guardiamo indietro vediamo Francesco. La differenza tra lui e noi è tutta qui, ma è enorme. Domanda: In che consiste allora il carisma francescano? Risposta: nel guardare a Cristo con gli occhi di Francesco! Il carisma francescano non si coltiva guardando Francesco, ma guardando Cristo con gli occhi di Francesco». (R. Cantalamessa, Osserviamo la regola che abbiamo promesso, conferenza tenuta in Assisi il 15/04/2009 in occasione del Capitolo delle Stuoie nell’VIII Centenario dell’approvazione della Regola di S. Francesco, n.1).

Sembrerà, a prima vista, un gioco di parole, ma la differenza tra un modo e l’altro di vivere il francescanesimo è abissale. I francescani sono chiamati a testimoniare Cristo non Francesco e per farlo devono guardare, attingere, mettere al centro Cristo non Francesco. Francesco ci indica il modo di guardare a Cristo, di vivere il suo Vangelo e di annunciarlo nel mondo. Se perdiamo di vista Cristo, se non ci abbeveriamo alla sua acqua, rischiamo di trasformare Francesco in un suo sostituto o, peggio, come Benedetto XVI ha messo in guardia in diverse occasioni, di considerare Francesco un uomo che ha fatto delle scelte, per quanto profetiche, a prescindere da Cristo, dal suo Vangelo e dalla Chiesa stessa.

Il 17 giugno 2007, durante la sua visita ad Assisi, Benedetto XVI ha fatto il punto sulla corretta interpretazione della figura e del messaggio francescano. Il Papa ci ha ricordato che i cristiani rischiano, non poche volte, di accettare «un Cristo diminuito, ammirato nella sua umanità straordinaria, ma respinto nel mistero profondo della sua divinità» e, analogamente, «lo stesso Francesco subisce una sorta di mutilazione, quando lo si tira in gioco come testimone di valori pur importanti, apprezzati dall’odierna cultura, ma dimenticando che la scelta profonda, potremmo dire il cuore della sua vita, è la scelta di Cristo» (Discorso nella Cattedrale di San Rufino, 17 giugno 2007).

Così, ancora, ritornano le parole di P. Raniero Cantalamessa nel discorso che ho citato sopra: «Scrive il Celano: “Vedendo che di giorno in giorno aumentava il numero dei suoi seguaci, Francesco scrisse per sé e per i frati presenti e futuri, con semplicità e brevità, una norma di vita o Regola, composta soprattutto di espressioni del Vangelo, alla cui osservanza perfetta continuamente aspirava. Ma vi aggiunse poche altre direttive indispensabili e urgenti per una santa vita in comune”.
 Le “poche parole”, messe per iscritto, comprendevano senza dubbio i testi evangelici che avevano colpito Francesco durante la famosa lettura del vangelo in una Messa e cioè i passi sull’invio in missione dei primi discepoli da parte di Gesù, con le istruzioni a non portare “né oro, né argento, né pane, né bastone, né calzature, né veste di ricambio”. Si pensa, non senza ragione, che parte di questi testi siano quelli contenuti nel capitolo primo della Regola non bollata.
 Ma queste non erano che esemplificazioni parziali. Il proposito vero di Francesco è racchiuso nell’espressione che si ritroverà in tutti gli stadi successivi della Regola e che il santo ribadirà nel Testamento: “vivere secondo la forma del santo Vangelo”. Il proposito è un ritorno semplice e radicale al vangelo, cioè alla vita di Gesù e dei suoi primi discepoli».

Perciò, se vogliamo onorare san Francesco, se vogliamo sul serio crescere e camminare come francescani nel mondo, dobbiamo tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento (Eb 12,2) così come Francesco d’Assisi stesso ci ha indicato: Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni (FF 1239). Discepoli di Cristo secondo la vocazione di Francesco d’Assisi, questo è il discepolato francescano.

fra’ Saverio Benenati