XIV Domenica T.O. – A

La chiusura a ogni rivelazione dall’alto e quindi alla fede, non è causata dall’intelligenza, ma dall’orgoglio.

Dal Vangelo secondo Matteo (11,25-30)

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

 

 

Il vangelo di questa domenica, tra le pagine più intense e profonde del vangelo, è composto di tre parti: una preghiera – Ti rendo lode, Padre… –, una dichiarazione su di sé – Tutto è stato dato a me dal Padre mio… – e un invito – Venite a me, voi tutti che siete stanchi… –.

Iniziamo dal primo elemento: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”.
Il miglior commento a questa parola di Gesù è ciò che dice Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi: “Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1Cor 1,26-29).

Le parole di Cristo e di Paolo gettano una luce singolare sul mondo di oggi. È una situazione che si ripete dai tempi di Gesù stesso. I sapienti e gli intelligenti, quanti dettano le linee guida del politically-correct, si tengono lontani dalla fede, guardando spesso con commiserazione la folla dei credenti che prega, che crede nei miracoli e che si affolla intorno alle statue dei santi.
Ma accanto ai suddetti sapienti ed intelligenti, ce ne stanno altrettanti che vivono la fede con umiltà e li si può perfino trovare in ginocchio dinanzi ad un tabernacolo. Ciò significa che la chiusura a ogni rivelazione dall’alto e quindi alla fede, non è causata dall’intelligenza, ma dall’orgoglio. E, infatti, Paolo conclude la succitata considerazione scrivendo “perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio”.
Il rifiuto della fede non è questione di capacità intellettuale, di conoscenze scientifiche, ma di debolezza psicologica: è un problema di orgoglio-vanità intellettuale. Quanti sapienti di questo mondo a causa del loro orgoglio, della loro presunzione, della loro vanità, sono di fatto dei nani, vittime di sé stessi e del loro complesso d’inferiorità.
Invece, “l’atto supremo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano” (B. Pascal). Il vero sapiente ed intelligente, infatti, è colui che sa farsi piccolo e sa riconoscere i limiti della ragione e della scienza di fronte all’infinito in cui è immerso. Come afferma il fisico Antonino Zichichi, “La scienza non ha mai scoperto nulla che sia in contrasto con l’esistenza di Dio. L’ateismo, quindi, non è un atto di rigore logico teorico, ma un atto di fede nel nulla” (A. Zichichi).

Gesù loda il Padre perché ha spalancato le porte del suo insondabile mistero a quanti sanno farsi piccoli e umili. Lo ha fatto non giocando a nascondino con l’uomo ma, al contrario, rivelandosi pienamente in Gesù, rivelandosi da uomo a uomo, parlando un linguaggio umano, compiendo gesti alla portata di tutti: Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

 

 

Nel mondo anglosassone è diffusa l’espressione “Elephant in the room” (elefante nella stanza) per indicare una verità che, per quanto ovvia e appariscente, viene ignorata o minimizzata. L’idea di base è che un elefante dentro una stanza sarebbe impossibile da ignorare; quindi, se le persone all’interno della stanza fanno finta che questo non sia presente, la ragione è che così facendo sperano di evitare un problema più che palese.
Infatti, oggi, particolarmente tra i giovani, i temi sulla fede, sul senso della vita, sul male, sulla morte, sui grandi perché dell’esistenza umana, vengono semplicemente ignorati poiché sarebbe troppo coinvolgente in maniera esistenziale affrontare tali argomenti. Le conseguenze esigerebbero dei cambiamenti troppo radicali nel modo di pensare e di vivere. Allora, meglio ignorare il problema – la fede in Gesù, il nostro più vero e grande problema-elefante – piuttosto che dovercisi confrontare con onestà intellettuale e prendere le decisioni conseguenti, a partire da una sincera conversione a Dio.

Ma il problema-elefante nella stanza, anzi nel mondo, c’è e rimane sotto gli occhi di tutti, ovunque ci si giri. Quanta fatica, quante energie si sprecano per tentare di aggirare/ignorare le questioni sulla fede e sul senso della vita o nei reiterati tentativi di trovare delle risposte “alternative” che puntualmente non soddisfano. A tutti questi “stanchi e oppressi” Gesù dice: Venite a me e troverete ristoro per la vostra vita, quella pace del cuore che il mondo non conosce e non può dare.

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.