Alla Chiesa è stata consegnata l’autorità di tenere sbarrate le porte del male e di indicare la via che porta al cielo che Gesù ha spalancato per noi con la sua croce.
Dal Vangelo secondo Matteo (16,13-20)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.
Sia nella prima lettura tratta dal profeta Isaia sia nel Vangelo oggi si parla di chiavi. Nel primo testo si parla di Sebna, maggiordomo del palazzo – che non significa una sorta di servo come lo intendiamo oggi, ma il “maggiore della domus”, della casa, cioè l’amministratore del palazzo – che sarà destituito dalla sua alta carica. Al suo posto sarà chiamato un servo, Eliakìm, a cui, per il suo ruolo e secondo gli usi dell’epoca, verranno date le chiavi del palazzo, immagine di una chiave e di una domus più ampia e spirituale: Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire.
Questa lettura è molto importante per comprendere quanto Gesù dice nel Vangelo all’apostolo Simone che ha confessato la sua fede cristologica: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Simone da questo momento non si chiamerà più così, ma Pietro, che in aramaico si dice Kefa, che significa appunto pietra.
Ci è immediatamente facile associare il nome nuovo di Simone conseguente alla sua professione di fede al fatto che questa sarà la pietra posta a fondamento della Chiesa. Ma Gesù, che è il compimento delle Scritture, sta compiendo un atto molto più significativo. Infatti, come i lettori ben ricorderanno, al tempo di Gesù la massima autorità religiosa – il Sommo Sacerdote e capo del sinedrio – è un certo Kaifa (in ebraico) ovvero Kefa (in aramaico). Gesù, compiendo la profezia di Isaia, sta di fatto destituendo il Sommo Sacerdote in carica Kaifa per consegnarne l’autorità sul popolo di Dio a Simone-Kefa.
Come a Eliakim, a Pietro-Kefa vengono consegnati i simboli della sua autorità, del suo essere stato costituito maggiordomo della casa di Dio: A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.
Ma la vera domanda è: che dimensioni hanno queste chiavi da doversi portare sulle spalle anziché, per esempio, attaccate ad una collana sul petto? Mentre Kaifa metterà sulla croce il Cristo, Pietro-Kefa sarà chiamato a portare sulle spalle la croce di Cristo, così come ascolteremo nel Vangelo della prossima domenica.
La croce di Cristo è la chiave che scioglie e lega, che apre o chiude irrimediabilmente. È questa la chiave che permetterà a Pietro e alla Chiesa che egli è chiamato a costruire e custodire, di compiere atti celesti, secondo Dio: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli. Tutti i sacramenti della Chiesa, fondati sulla croce salvifica di Gesù Cristo, sono atti terrestri che hanno la loro immediata corrispondenza nel cielo, ne sono riflesso.
Pietro, la Chiesa tutta, esprime tutta la sua autorità, la sua funzione sacerdotale ovvero il suo essere ponte tra la terra e il cielo, solo quando presta la sua voce a Dio annunciando la sua Parola – Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli – e porta sulle sue spalle la croce di Cristo, dando testimonianza di un amore senza limiti né condizioni. Portare la croce di Cristo sulle spalle significa perdonare, riconciliare, salvare l’umanità come Cristo e nel suo Nome. In questo senso e solo in questo senso la Chiesa è e può dirsi “sacramento di salvezza” per tutti gli uomini.
Ma attenzione: Dio non è condizionato dall’agire dell’uomo, anche se quest’uomo è Pietro o i suoi successori, ma al contrario è l’uomo ad agire secondo il volere di Dio, a dare esecuzione ai suoi comandi. Né Pietro né la Chiesa di tutti i tempi hanno il potere di decidere in autonomia, ma al contrario è chiamata a discernere e riconoscere ciò che è aperto (da Dio) e ciò che è chiuso. E Dio, come viene detto a Pietro, ha chiuso le porte degli inferi per spalancare le porte del cielo. La Chiesa ha solo il compito di introdurre gli uomini nei cieli, senza arrogarsi mai il diritto di spedire gli uomini negli inferi.
Che bello incontrare pastori e laici nella Chiesa che aiutano le persone a saper riconoscere ciò che Dio ha aperto per loro, a riconoscere le vie che Dio ha tracciato perché attraversino le porte dei cieli. Nel mondo troppe volte vengono spalancate agli uomini, già in giovane età, le porte degli inferi, abissi di sofferenza e di dolore che sottraggono loro tutto l’amore a cui hanno diritto in quanto figli di Dio ed eredi del suo regno.
Che nessun uomo venga mai privato del ministero della Chiesa di tenere sbarrate le porte del male e ad essere aiutarlo a guardare il cielo, a desiderarlo e ad entrarvi invocando l’unico Nome in cui c’è salvezza: Cristo Gesù, Signore nostro.
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.