XXVI Domenica T.O. – A

La vera statura di un uomo risiede nella sua capacità di riconoscere i propri errori e di intraprendere vie diverse che portano alla vita.

Dal Vangelo secondo Matteo (21,28-32)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

 

 

 

Anche questa Domenica restiamo sul tema della giustizia di Dio affrontato la scorsa settimana con la parabola degli operai remunerati in maniera sorprendente e al di là di ogni aspettativa umana. Se, dunque, la scorsa settimana è stato posto l’accento sull’accusa nei confronti di Dio di essere ingiusto per la sua magnanimità, questa settimana emerge un’altra possibile accusa, quello di essere ingiusto per la sua rigidità. E così, ascoltiamo nella prima lettura, questa parola di Dio per bocca del profeta Ezechiele: Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.

L’accusa nei confronti di Dio di essere ingiusto muove i passi dalla contestazione di una affermazione ripetuta più volte nelle Scritture dell’antico Testamento, che cioè Dio visita – non punisce come spesso viene tradotto il verbo originale! – la colpa dei padri fino alla terza e alla quarta generazione. Lo sappiamo bene, i nostri errori, i nostri peccati qualunque sia la loro natura, hanno sempre delle ripercussioni nell’ordine naturale delle cose e pertanto anche nelle nostre relazioni. Dio, pertanto, non se la prende con chi subisce le conseguenze del peccato altrui, punendoli a loro volta, ma li “visita”, cioè interviene perché si spezzi la catena del male e non coinvolga l’innocente. Ecco, infatti, il senso della risposta che Dio da a chi lo accusa di non punire i discendenti dei colpevoli: ognuno è responsabile delle proprie azioni!

Dio visita l’uomo perché spezzi ogni suo coinvolgimento col male, perché si converta e viva. È questo, dunque, il senso della parabola odierna che ascoltiamo dal Vangelo. Dio-Padre visita i suoi figli perché non rimangano inerti, passivi, inoperosi. Dio li visita perché vadano a lavorare nella sua vigna, entrino cioè nel suo regno di amore e lì si adoperino per il bene. La sua visita è un atto di custodia dal male e l’opportunità per cambiare l’ordine delle cose in positivo.

Il padre-Dio – così leggiamo nella parabola – Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò.
Chiunque può cambiare idea rispetto a quanto affermato in precedenza, ma non sono le parole a cambiare le cose, ma le nostre azioni. A parole siamo tutti bravi a dire una cosa piuttosto che un’altra, ma sono i fatti che ci qualificano ed hanno delle conseguenze reali sulla nostra vita presente e futura.

 

 

Per Dio, come d’altronde per noi stessi, ciò che contano non sono le parole, ma i fatti, i risultati. Dio, a differenza nostra però, non è istintivo, non si ferma all’immediato apparente, ma sa attendere e guardare lontano. E meno male che è così! Ci vuole tempo e molta pazienza per giudicare veramente una persona, senza fermarsi alle apparenze. L’uomo guarda l’apparenza, ma Dio guarda il cuore e, dobbiamo aggiungere, i fatti nel lungo periodo.

La nostra verità non risiede nei nostri si o nei nostri no alla volontà di Dio, ma nella capacità di pentirci da ciò che a parole pronunciamo spesso troppo frettolosamente. Occorre, allora, come già abbiamo sostenuto Domenica scorsa, non assolutizzare i nostri pensieri. Troppo frequentemente ci si impunta su sé stessi, sulle parole dette, sulle azioni intraprese, solo per orgoglio. Per alcuni è indice di “statura morale” o etica che dir si voglia. Ma la statura di un uomo non si misura nell’essere coerenti con gli errori commessi. Quanti personaggi della società, dallo spettacolo alla politica, assurgono a modelli di vita per la loro coerenza nell’immoralità! Quanti giovani li venerano come “idoli” cercando di imitarli e così trascinando nella propria generazione le colpe dei (falsi) padri!

La vera statura di un uomo risiede nella sua capacità di riconoscere i propri errori e di intraprendere vie diverse che portano alla vita. Non c’è uomo più grande di chi ammette, a sé stesso o anche pubblicamente, di aver sbagliato e di voler cambiare rotta. L’umiltà di riconoscere i propri errori è la più grande forza di carattere e nobiltà d’animo. Se proprio vogliamo imitare qualcuno, andiamo a cercare chi è capace di piangere ancora oggi i propri errori e ci ha sorpreso con i suoi cambiamenti radicali di vita, che sa essere di ispirazione per le nuove generazioni per non ricadere nei suoi stessi errori.

Pensiamo oggi a quanti uomini e donne nella storia a cominciare da Maria di Magdala o Saulo di Tarso o, secoli dopo, Francesco d’Assisi, sono stati visitati da Dio e hanno cambiato radicalmente vita diventando d’ispirazione anche oggi per molti. Pensiamo che Dio vuole e può fare visita a ciascuno di noi, a me e a te, anche quest’oggi, perché ci convertiamo al bene iniziando una nuova vita. Dio è buono e giusto, anzi è giusto nell’amore, e per questo sa essere paziente e insistente allo stesso tempo: Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20).

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.