Correre senza affanno

Anche i giovani faticano e si stancano, ma l’ascolto e la narrazione di gioie e fatiche sono come i pedali che rimettono in strada una bici per una nuova corsa.

 

 

 

Anche i giovani faticano e si stancano,
gli adulti inciampano e cadono;
ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,
mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi.
– Isaia 40,30-31

 

Il giorno di Pasqua è tutto un correre. Corrono le donne al cenacolo dopo aver preso atto che il sepolcro è vuoto e di Gesù non c’è neanche l’ombra. Corrono Pietro e Giovanni al sepolcro per verificare l’incredibile racconto delle donne. Corre la Maddalena dopo aver incontrato il suo Maestro nei pressi del sepolcro. Corrono due discepoli che hanno incontrato Gesù lungo la strada che li riporta a casa ad Emmaus dove lo riconoscono nel gesto eucaristico per eccellenza, lo spezzare il pane.

Ci sono due modi, però di correre: quello ansiogeno di chi non sa cosa sia accaduto e quello altrettanto carico di ansia, ma positiva, di chi, al contrario, sa cosa è realmente avvenuto e non vede l’ora di raccontarlo a tutti.

Siamo giunti a questa Pasqua con tutta la stanchezza di anni difficili che ci hanno visto chiusi nelle case, smarriti e impotenti davanti al male, alla violenza e ora anche alla guerra. Come i discepoli e le discepole dell’alba di Pasqua ci siamo rimessi in moto con l’ansia di chi non sa cosa ci riserva il dopo. E allora si corre per accaparrarsi la felicità di un momento – carpe diem! – che potrebbe sfuggire dalle mani da un momento all’altro.

Questo tempo ha fatto emergere particolarmente negli adolescenti e nei giovani un’agitazione, un’angoscia, una frustrazione fatta spesso di rabbia che le piattaforme virtuali, seppur ricche di serie tv, film e musica per tutti i gusti, non riescono più a contenere, a calmare e a dare una risposta ai tanti punti interrogativi che uno si porta dentro.

Un malessere che, nel profondo, nasconde la voglia e la fretta di ripartire, di ricominciare, di voler vivere un tempo diverso, nuovo, creativo, libero di esprimere affetti, gesti, sogni o semplicemente un sorriso senza mascherina!

La movida notturna è l’espressione più eloquente di questo disagio: chi ascolta la musica a tutto volume rimbalzante tra le vie, chi organizza una rissa in piena notte e la conclude con una pacifica stretta di mano, chi prende a calci bidoni o segnali stradali, oppure chi litiga insistentemente per la poca fiducia offerta e ricevuta, chi sta con un boccale di birra in mano a parlare del nulla. Tutto ciò per sentirsi vivi, desiderosi di relazioni, di amicizia, di affetto. Perché, alla fine, l’alcol o qualche altro sballo non bastano a riempiere i nostri sepolcri vuoti.

E così, alla fine, come la Maddalena, si gira attorno al problema ma senza veramente analizzarlo per prenderne consapevolezza: è questa la vita? un sepolcro vuoto che non merita il mio dolore e le mie lacrime muti?

C’è forse altro nella vita? A chi dire il mio disagio, con chi condividere tutta la mia frustrazione per le tante delusioni che questo tempo mi ha riservato?

È quello che faranno due discepoli raccontando lungo la via verso Emmaus ad un improvviso quanto sconosciuto viandante incontrato “per caso” lungo la strada. Le sue parole che parlano dell’infinito amore di Dio per l’uomo fino al punto da avergli dato il suo Figlio perché chiunque crede in lui non soccomba sotto i colpi del male, ma abbia vita in abbondanza, infiamma i loro cuori e mette le ali ai loro piedi. Dal lento trascinarsi verso casa a motivo di un tempo inconcludente che ha causato delusione e rabbia, si passa ad una corsa in cui il cuore sembra scoppiargli dentro per la troppa gioia.

Sì c’è altro nella vita, c’è un di più che abbiamo sempre avuto a portata di mano ma non lo abbiamo saputo riconoscere. È bastato da una parte mettere fuori il disagio che appesantisce il cuore e rallenta i passi e, dall’altra, l’umiltà di ascoltare ciò che forse già si conosceva “per sentito dire”, ma in un modo nuovo, personale, credibile, coinvolgente.

Si può, anzi si deve correre, senza agitazioni vuote e angosce ingiustificate, bensì per la scoperta che con Gesù niente è finito, che nessuno può darsi per vinto, che si può ricominciare non tanto riavvolgendo la pellicola per rivedere all’infinito lo stesso film, ma in una maniera nuova e sorprendente.

 

 

La vera questione, però, è un’altra: c’è qualcuno disponibile a fare un tratto di strada insieme per narrarsi reciprocamente delusioni e aspettative, gioie e speranze?

Quella del farsi prossimi per ascoltarsi e narrarsi rappresenta una chance per i credenti per sperimentare uno stile creativo di annuncio andando incontro ad amici e colleghi, accettando di abitare la strada, lasciando la sicurezza di uno stile di fede abitudinario dentro le “mura” per aiutare a riscoprire il fascino “di” e “per” Gesù da cui tutti, in un modo o in un altro, sono attratti.

Oggi, tanti, troppi giovani sono come delle biciclette appoggiate ad un muro; per mettersi in movimento occorre che qualcuno li prenda per mano e dia una spinta ai pedali. Oggi, appoggiati ad un muro o seduti su degli scalini, ci sono fratelli e sorelle che, da soli, non sono in grado di reggersi e attendono solo qualcuno che li faccia alzare e li incoraggi ad andare oltre facendogli sperimentare una vita nuova.

Oggi è il tempo di correre, con la gioia nel cuore, verso e con ogni uomo angosciato, deluso o ferito dalla vita, per narrare la gioia del Vangelo e il futuro pieno di speranza che il Risorto ha riservato per questa umanità.

fr. Saverio Benenati, ofm conv