Credenti, creduloni e ricercatori di senso

Per la prima volta nella storia viviamo in una società senza religione, ma ciò non significa che non si creda più in niente.

 

 

Solo un quinto degli italiani si considera cattolico praticante e, nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni, circa il 40 per cento si dichiara “senza Dio”.

Negli ultimi anni sono state pubblicate diverse ricerche sul fenomeno religioso in Italia, che hanno riguardato in particolare la fascia di età dei cosiddetti giovani-adulti (orientativamente tra 18 e i 30 anni). Queste ricerche hanno restituito un quadro del fenomeno religioso in significativa trasformazione, che, pur lasciando intravedere alcune tendenze ben delineate, non consente di prevedere con certezza gli sviluppo futuri.

Come sosteneva lo scrittore britannico Gilbert Keith Chesterton, «chi non crede in Dio, non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto». Si spiega forse anche così il fenomeno delle folle che accorrono sui luoghi delle presunte apparizioni o dei tanti che sono disposti ad abbracciare culti orientali, magari camuffati da rassicuranti tecniche di meditazione. Senza parlare di quelli che credono agli oroscopi, ai maghi o ai tarocchi: un italiano su due! E poi ci sono i cospirazionisti, quelli che… “i governi ci nascondo gli alieni”, “ci ammorbano con le scie chimiche rilasciate dagli aerei” fino ad arrivare ai terrapiattisti.

Perciò, non è affatto vero che viviamo nell’epoca dell’indifferenza religiosa, quanto piuttosto in quella dove l’affiliazione a una comunità religiosa diviene sempre meno scontata. La religione, più che come appartenenza a una comunità religiosa, è percepita in modo crescente come ricerca personale di senso e di valore, capace di rispondere a grandi domande esistenziali. Si tratta di una ricerca condotta liberamente a livello individuale, in un contesto sociale che diviene sempre più pluralistico anche dal punto di vista dell’offerta religiosa.

 

 

Chi, come noi del Movimento Giovanile Francescano, si trova ad incontrare giovani e giovani-adulti che si sono allontanati dalla pratica religiosa o se ne sono collocati ai margini, sa benissimo come allo spegnimento della luce di Dio dal proprio orizzonte di vita corrisponde l’accensione di innumerevoli e irrisolte domande sul senso della vita, del dolore, della morte e, in generale, sui fondamenti della fede cristiana di cui la nostra società, anche solo a livello artistico-monumentale, ne porta i segni ad ogni dove.

Espressione di questo atteggiamento è, allora, la tendenza a identificare la religione, più che con un complesso di dottrine definite e di culti stabiliti oppure con un’istituzione determinata quale appunto la Chiesa, con la dimensione della “spiritualità”. Si tratta di una dimensione di cui è difficile tracciare i contorni ma che risponde certamente al desiderio di sperimentazione e di auto-determinazione. Più che l’accettazione passiva di verità si è alla ricerca di “esperienze” che in una certa misura lasciano il segno e a partire dalle quali inizia tutto un percorso che porta prima all’approfondimento e poi all’appartenenza. Ma in fondo non è lo stesso processo evangelico della fede chiaramente ribadito a chiare lettere da Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium per cui tutto comincia e ricomincia con una esperienza, con l’incontro personale con Gesù Cristo?

 

 

Le ricerche sociologiche sul fenomeno religioso in Italia confermano il decremento della pratica religiosa. Ciò porterà alla scomparsa delle grandi istituzioni religiose come la Chiesa Cattolica? La secolarizzazione, più che come inarrestabile declino del fenomeno religioso e delle istituzioni religiose o come loro totale marginalizzazione sul piano sociale, sarebbe piuttosto da intendersi come allentamento e frammentazione dell’appartenenza religiosa, che restituirà in futuro un quadro assai più differenziato, ma non necessariamente meno favorevole alla persistenza del fenomeno religioso.

I dati indicano che la pluralità religiosa delle società occidentali, destinata ad accrescersi anche in Italia soprattutto in virtù dei fenomeni migratori, rappresenta una sfida dall’esito non scontato. La pluralità religiosa, come quella morale, può generare, per un verso, un atteggiamento di scetticismo e quindi di indifferenza, ma per l’altro può aumentare la competizione tra le diverse comunità religiose, stimolandole ad un rinnovato impegno fattivo e credibile. In ogni caso, vivere della rendita di una secolare tradizione storico-culturale da parte della Chiesa cattolica in Italia non sarà sufficiente a mantenere la posizione acquisita all’interno della nostra società. Per questo è quanto mai urgente rispondere all’appello scaturito già dal Concilio Vaticano II e riaffermato dai pontefici che si sono succeduti fino ai nostri giorni per una nuova evangelizzazione da parte di quel “resto” che ha incontrato Gesù, facendone un’esperienza personale significativa, e che pertanto è a sua volta capace di comprendere le ragioni di quanti hanno smarrito la fede o non l’hanno mai avuta, e di saperli condurre con sapienza e metodo ad un autentico incontro con la persona vivente di Gesù Cristo.