Poche righe dopo l’inizio del Testamento, Francesco parla del «dono dei fratelli», qualcosa di inaspettato, che sembra segnare quasi una nuova sua vocazione.
Proseguendo nella lettura del Testamento ci imbattiamo in un solo paragrafo in ben due doni che il Signore fece a Francesco: i fratelli e la forma di vita evangelica. In questa riflessione ci soffermeremo sul primo.
E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
(Testamento; FF 116)
Poche righe dopo l’inizio del Testamento, Francesco parla dunque del «dono dei fratelli», qualcosa di inaspettato, che sembra segnare quasi una nuova sua vocazione.
Che la Paternità di Dio fosse l’unica e la sola vera paternità, Francesco l’aveva appreso presto, in quel percorso che lo aveva separato dal padre Pietro di Bernardone che gli aveva fatto scoprire e proclamare davanti tutta Assisi che l’unica nostra garanzia su questa terra è il Padre che è “nei cieli” (FF 597).
Ma qui Francesco sembra rilevare quasi un disagio, quando afferma che «nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare… ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò».
La dimensione fraterna è costitutiva, dunque, dell’esperienza di Francesco e della sua proposta cristiana: egli ha scoperto Dio nell’incontro con i fratelli lebbrosi e poi, ancora, nell’incontro con i fratelli che Dio stesso gli ha inviato quale suo dono.
Ma nel testo si dice molto di più: l’arrivo (inaspettato) dei fratelli gli fa scoprire la propria vocazione a vivere secondo la forma del santo Vangelo. Si potrebbe addirittura sostenere che senza l’arrivo dei fratelli Francesco non avrebbe scoperto con tanta chiarezza la propria vocazione a «vivere secondo la forma del santo Vangelo». I fratelli, ancora una volta, hanno un carattere «rivelativo»: i fratelli lebbrosi gli fanno scoprire la misericordia di Dio, i primi frati quello di far conoscere a Francesco la sua vocazione. I fratelli che Dio gli manda sono, dunque, come degli angeli-messaggeri che gli rivelano la sua chiamata ad una vita radicalmente evangelica, fraterna e missionaria.
In tutto ciò, Francesco non assume l’atteggiamento di un “fondatore”, di padre o di fratello maggiore: io ho pensato… io ho deciso… I fratelli sono stati invece il dono di Dio per rivelargli il progetto su di lui, ciò che doveva fare della sua vita.
Dovremmo tutti soffermarci a riflettere su questo particolare aspetto della fraternità. Innanzi tutto che da soli non possiamo presumere né della nostra vocazione né della nostra missione. La nostra vita e il progetto che Dio ha per essa si illuminano solo quando entrano a contatto-confronto con i fratelli. Essi sono il mezzo per discernere i nostri doni, carismi e ministeri e quale sia il nostro posto nella Chiesa e nel mondo. Anche nella mia personale esperienza di vita religiosa ho visto troppo spesso dei confratelli fuggire per altre dimensioni di vita o luoghi solo perché il confronto con i fratelli li metteva in crisi, non comprendendo che la crisi è sempre un mezzo che Dio usa per metterci nelle sue mani e modellarci secondo la sua libera volontà. I fratelli sono l’opportunità che Dio ci dona per modellare meglio la nostra vita spirituale, il nostro modo di stare nella Chiesa e nel mondo e le nostre relazioni. Mai fuggire i fratelli. Equivale a fuggire da Dio che ce li dona e di conseguenza perderci quella “Parola” di cui erano depositari e messaggeri per noi!
Potremmo dire tantissime altre cose sulla fraternità. Francesco certamente ne aveva tante, di positive e di negative. Alcune cose le scriverà più avanti e anche noi ci soffermeremo a riflettervi. Ma qui ciò che emerge e che dobbiamo accogliere anche noi come dono condiviso dal Signore prima e da Francesco poi è che i fratelli sono una rivelazione di Dio.
Tante volte mi sono ritrovato a ripetere che la fraternità è la situazione più difficile che siamo chiamati a vivere, sia umanamente sia spiritualmente. A differenza degli amici, che ci scegliamo con libertà e con altrettanta libertà possiamo abbandonare, i fratelli sono un dono da accogliere e accettare così com’è. Sia i fratelli nella carne e nel sangue sia i fratelli della comunità – ecclesiale o religiosa che sia – ci vengono dati da altri e per quanto possano risultarci antipatici e nemici, per quanto vorremmo allontanarcene, niente potrà annullare il vincolo di fraternità che ci lega ad essi. Esso, infatti, non dipende da noi ma da chi ce li ha dati come fratelli.
Anzi, nella Regola Bollata Francesco sostiene che il legame fraterno spirituale è più forte e più importante di quello carnale, ancora più forte di quello che intercorre tra madre e figlio: «E ovunque sono e si incontreranno i frati, si mostrino familiari tra loro reciprocamente. E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, quanto più premurosamente uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale?» (Regola bollata, cap. VI; FF 91).
È palese che per Francesco il vincolo spirituale che lo lega ai fratelli, che lui non ha cercato né voluto né posto in essere, è così importante perché molto più lo è colui che lo ha posto in essere: il Padre che è nei cieli. Potremmo dire, al contrario, interpretandone la logica, che disprezzare i fratelli equivale a disprezzare Dio che ce li dona. E andando avanti così, dobbiamo ripetere quello che forse già tutti sappiamo: servire i fratelli è servire Dio; accogliere i fratelli è accogliere Dio; fare comunione con i fratelli è farla con Dio. Insomma: i fratelli sono un dono che portano in sé la presenza del Donatore, essi sono le Sue mani che ci plasmano come il vasaio modella l’argilla informe. È forse anche per questo che essi ci danno tanto fastidio quando esigono da noi un cambiamento?
fra’ Saverio Benenati
IL TESTAMENTO DI SAN FRANCESCO
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