Nove parole per nove giorni: Lavoro

Piccola novena in preparazione alla solennità di San Francesco – 7

 

 

Nell’immaginario collettivo i frati francescani sono quelli che campano di elemosina. In verità, l’elemosina o, come soleva anche dire san Francesco, il ricorrere alla mensa del Signore, è considerata nella Regola quasi un’ultima ratio ovvero un modo di rendersi simili agli altri poveri.

Prioritario per san Francesco è invece il servire e lavorare con le proprie mani. Così, i frati che sanno lavorare, lavorino ed esercitino quel mestiere che già conoscono, se non sarà contrario alla salute dell’anima e può essere esercitato onestamente (Rnb cap. VII; FF 24).
Qui non c’è solo il principio che il sostentamento materiale dei frati deve essere frutto del loro lavoro manuale, ma anche che i frati stanno in mezzo al popolo e al pari di esso faticano e sudano il loro pane quotidiano.

Anche in questo senso viene sfatata un’altra immagine falsamente diffusa che i frati pregano tutto il giorno o, comunque, se ne stanno ritirati in convento a fare chissacché di spirituale. Essi, al contrario, oltre il giusto tempo dedicato prioritariamente alla preghiera e alla formazione, all’eventuale esercizio del ministero sacerdotale o altri servizi in favore della fraternità, stanno in mezzo al popolo e si guadagnano da vivere con il proprio lavoro, fosse anche solo di carattere pastorale.

La scelta della povertà evangelica, che li chiama a farsi poveri con i poveri, e come i poveri della società, esige dai frati una condivisione non semplicisticamente sentimentale o spirituale, ma anche fattiva della loro situazione di vita. Così, infatti, scrive Francesco al cap. IX della Regola: E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada. Perciò, si serve, si lavora o si ricorre all’elemosina non solo per sé stessi, ma anche e soprattutto per i poveri, condividendo con essi non solo quello che si è ricevuto, ma la propria stessa vita.

Ed, infine, è interessante notare che sempre nel capitolo VII della Regola non bollata, si esortano i frati ad accogliere con bontà sia gli amici che i nemici, ladri e briganti. Come nel famoso ed emblematico episodio del lupo di Gubbio, Francesco è consapevole che la povertà e la miseria spingono gli uomini a compiere azioni disdicevoli, che nel cuore dei poveri ringhia un lupo rabbioso e affamato. I furti, il brigantaggio, e altre azioni, diremmo oggi, di microcriminalità, sono frutto ed espressione di quella ingiustizia sociale che scava solchi profondi nella società e discrimina ed emargina, oggi al pari di ieri. Perciò, occorre accoglierli con bontà, farseli amici anche sostenendoli materialmente se è necessario, affinché sia ammansito il lupo che ringhia in essi a causa di un sistema sociale ingiusto che relega i poveri nelle cosiddette periferie esistenziali e tali vuole che essi rimangano.

Ieri come oggi, i francescani, quali fratelli e sorelle di ogni uomo e donna, sono chiamati ad adoperarsi fattivamente per edificare una società giusta, attenta agli ultimi, accogliente e inclusiva con tutti, perché ad ognuno sia data la possibilità di vivere dignitosamente la propria esistenza, mangiando il proprio pane, frutto di un lavoro onesto e dignitoso.