Ritornare a Betlemme

L’attrazione esercitata dalla Chiesa è costituita dall’intimo connubio di opere e Vangelo. È l’agire secondo il Vangelo che permette agli uomini di poter incontrare non una idea di Dio frutto dell’immaginazione umana, ma un Dio che si è fatto carne, uomo tra gli uomini.

I racconti del Natale di Gesù ci parlano di un astro nel cielo, di una stella che guida i magi fin nel luogo della nascita di Gesù. In verità, l’evangelista Matteo ci ricorda anche che questi ambasciatori pagani ad un certo punto del loro percorso di avvicinamento sbagliano strada, non tanto per colpa della stella, di cui hanno solo visto il suo spuntare nella notte, ma a causa della loro mentalità. Andando, infatti, a rendere omaggio al nuovo re che è nato è per essi naturale andare a bussare al portone della reggia di Erode: un re può nascere solo nel palazzo reale, dove abita il re in carica… Invece, il neonato verso cui sono stati guidati non è lì! Occorre che si accenda un’altra luce sul cammino a guidare i loro passi: la Parola di Dio. E così, finalmente, è questa nuova luce a permettere l’incontro con Gesù a Betlemme.

“Casa del pane” in ebraico, “Casa della carne” in arabo, Betlemme nella sua etimologia non può non farci pensare alla Chiesa, Casa del Pane di vita che è il Corpo eucaristico di Gesù, quel corpo che ha assunto con il suo essersi fatto carne duemila anni fa e oggi vive glorificato in eterno alla destra del Padre.

Messa così, allora i racconti del Natale di Gesù non sono forse solo racconti, ma Vangelo, annuncio di salvezza per tutti gli uomini e insegnamento sempre attuale per i discepoli di Cristo. Essi, infatti, sembrano indicare un percorso-metodo di evangelizzazione per cui tutti gli uomini possano sperimentare l’incontro con il Signore.

San Paolo, nel secondo capitolo della sua lettera ai filippesi, dopo aver illustrato tutto il mistero dell’incarnazione che ha il suo apice nella glorificazione di Gesù quale Signore e Salvatore del mondo, invita i discepoli a risplendere in mezzo agli uomini “come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita” (Fil 2,15-16).

Papa Francesco, riprendendo Benedetto XVI, più volte ha ripetuto nei suoi insegnamenti, che “la Chiesa cresce per attrazione”, quella attrazione che solo dei discepoli “luminosi” posso esercitare. Un discepolo di Cristo non può nascondere la sua luce sotto il letto, non può tenere al buio la città degli uomini (cfr Mt 5,14-16), omettendo di far risplendere l’opera di Dio in esso. Tutta la vita di un discepolo deve attrarre a Dio, autore di ogni bene; il suo stile di vita deve parlare di Gesù, luce del mondo. Ma, appunto, deve parlare di Dio, deve essere Vangelo, via a Cristo. Lo splendore del discepolo non parla del discepolo, della propria bontà o capacità personali, ma unicamente di Dio, delle grandi opere di Lui (cfr At 2,11). L’attrazione esercitata dalla Chiesa, da ogni discepolo di Cristo, è costituita dall’intimo connubio di opere e Vangelo. Sono le opere evangeliche, l’agire secondo il Vangelo, che permettono agli uomini di poter incontrare non una idea di Dio frutto dell’immaginazione umana, ma un Dio che si è fatto carne, uomo tra gli uomini, e che è possibile incontrare, toccare, adorare e con cui si può mangiare insieme (cfr Lc 24,39). La meta finale del percorso attrattivo del discepolo è la mensa dell’Eucaristia. Essa è la perenne Betlemme dove “ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote” (San Francesco, Ammonizione I).

C’è una mangiatoia a cui occorre ogni giorno ritornare, per due ragioni: per sostare in essa e per condurvi i nostri fratelli, anche i più lontani. Gesù ha infatti abbandonato il sepolcro, ma non ha mai lasciato la mangiatoia. Ad essa dobbiamo sempre far ritorno per un autentico cammino di incarnazione della nostra fede che come astro è chiamato a risplendere nelle tenebre del mondo.

fra’ Saverio Benenati