Celebrare la Pasqua del Signore

Celebrare la Pasqua è farne esperienza nell’azione liturgica del Triduo santo. Come vivere questi giorni di salvezza?

Il Triduo Pasquale, con i suoi riti e celebrazioni, costituisce il cuore della liturgia come memoriale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, che è il culmine di tutto l’anno liturgico. Purtroppo, alle celebrazioni pasquali nel tempo si sono stratificate varie tradizioni (processioni, drammi sacri, etc.) che pur mantenendo il loro carattere “didattico-popolare” spesso vanno a sostituirsi a quella che è invece liturgicamente la “memoria” della nostra salvezza, cioè l’esperienza concreta e viva della salvezza di Cristo per tutto il genere umano. II memoriale liturgico è infatti una memoria-reale, la presenza reale di ciò che è storicamente passato e che qui e ora si comunica in modo efficace.

Quando la Chiesa celebra i riti liturgici, pensiamo al Venerdì santo o alla Veglia di Pasqua, non è che Gesù muore o risorge nuovamente, ma al contrario è l’assemblea liturgica che viene immessa nell’oggi di Dio per cui vive e sperimenta ciò che Dio ha fatto una volta e per sempre nella pienezza dei tempi e i cui effetti sono eterni: “Oggi Cristo è nato” (liturgia del Natale), “Oggi Cristo è risorto” (liturgia di Pasqua), “Oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza” (liturgia dell’Epifania).

Purtroppo, per molti celebrare la Pasqua si limita ad andare a Messa la domenica di Pasqua. Certo, la celebrazione domenicale è sempre Pasqua, particolarmente in questo giorno santo, ma celebrare la Pasqua come esperienza dell’evento salvifico di Cristo richiede la partecipazione all’azione liturgica specificatamente pasquale. E siccome l’evento pasquale non consiste solo nella risurrezione di Cristo ma nell’intima unione del mistero di passione-morte-risurrezione, anticipato e attualizzato nel sacramento eucaristico, ecco che la liturgia pasquale si dispiega nei tre giorni che costituiscono il Triduo santo.

La caratteristica peculiare delle celebrazioni del Triduo è che sono organizzate come un’unica liturgia; infatti la Messa in Coena Domini non termina con l’ite missa est (”la Messa è finita”), bensì in silenzio; l’azione liturgica del venerdì non comincia con l’usuale saluto e il segno della croce e termina anch’essa senza saluto, in silenzio; infine la solenne veglia comincia in silenzio e termina finalmente con il saluto finale. Il Triduo Pasquale costituisce pertanto un’unica celebrazione dispiegata in tre giorni.

Ora, se la celebrazione della sera del Giovedì santo non si conclude, bensì continua in quella del venerdì e insieme sfociano nella solenne veglia pasquale, ciò significa che lo spazio tra una liturgia e l’altra sono anch’essi celebrazione della Pasqua. Usciamo dalla chiesa per ritornare alle nostre case e persino alle incombenze e al lavoro feriale, ma possiamo e forse dobbiamo fare in modo che non si interrompa il filo che collega il triduo che comunque stiamo celebrando. Come?

Innanzi tutto con il digiuno che caratterizza il Venerdì santo. Esso non è penitenziale, come quello del Mercoledì delle ceneri, ma è motivato dal fatto che lo Sposo ci è stato tolto (cfr Mt 9,15). Ora, piuttosto che farlo iniziare dalla mezzanotte tra il giovedì e il venerdì, possiamo iniziarlo a partire dalla celebrazione del Giovedì santo in cui abbiamo partecipato alla Cena del Signore. La Chiesa poi suggerisce di prolungarlo liberamente anche nel sabato santo fino alla Veglia pasquale dove torneremo a nutrirci alla mensa del Signore. Ecco, questo sarebbe un primo modo per evitare lo scollamento tra i vari momenti del Triduo. Ma il digiuno, che consiste in questo caso in un permanere in stato celebrativo e per cui ci priviamo del nutrimento corporale (che non significa dover morire di fame, basta talvolta saltare il pranzo o la cena), ha senso solo se lo riempiamo di altro, che in questo caso non può che essere il nutrimento spirituale.

La sera del Giovedì santo l’Eucaristia viene collocata negli altari della Reposizione – non continuate a chiamarli “sepolcri”, per carità! – per l’Adorazione eucaristica personale e/o comunitaria. Il fedele, dopo la celebrazione, è lì che dovrebbe stare, vegliando e pregando con Gesù, non a girovagare di chiesa in chiesa… Giustamente le norme liturgiche affermano che dopo la mezzanotte, entrando nel Venerdì santo, l’adorazione sia fatta senza solennità, ma nulla vieta, parroci permettendo, che si possano stabilire dei turni notturni e anche diurni di adorazione personale – molti gruppi MGF lo fanno ormai da anni – facendola così sfociare naturalmente nella liturgia pomeridiana dell’Adorazione della croce.

Inoltre la Chiesa sia il Venerdì che il Sabato santo continua ininterrottamente la celebrazione della Liturgia delle Ore che proprio in questi giorni potrebbe essere recitata per intero (Ufficio delle Letture, Lodi, Ore medie di terza, sesta e nona, Vespri e Compieta) per dare quel senso di continuità celebrativo-liturgica ai tre momenti principali del Triduo.

Infine, il silenzio con cui si conclude la liturgia dell’Adorazione della Croce e che prosegue nel sabato santo fino alla Veglia pasquale al pari del digiuno è anch’esso un atto celebrativo della Pasqua. È un’assenza di parole che può essere riempita, oltre che dalla Liturgia delle Ore, dalla Parola e dalla preparazione del cuore al rinnovo delle promesse battesimali.

Il Triduo Pasquale, insomma, è per il cristiano il tempo più importante di tutto l’anno. “Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!” (2Cor 6,2). È la Pasqua del Signore che si realizza per noi oggi. Approfittiamone da protagonisti.