Trasfigurazione del Signore – A

Il meglio della nostra vita deve ancora venire. Dipende solo da noi desideralo e adoperarci perché si realizzi.

Dal Vangelo secondo Matteo (17,1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

 

 

 

Ricorre ogni anno, il 6 agosto, la festa della Trasfigurazione del Signore, celebrata a partire dal IV secolo in oriente e dall’XI in occidente. In questa festa, quasi ignorata o celebrata distrattamente nell’euforia vacanziera che contagia anche molti di noi cristiani, siamo chiamati a contemplare il volto di Gesù Cristo radioso di una luce di vita e di comunione destinata a tutto l’universo, all’umanità intera.

Infatti, nell’immagine trasfigurata di Gesù, vediamo l’anticipazione dell’immagine dell’uomo ri-creato da Dio. In Gesù sul monte Tabor, gli apostoli, e noi con loro, non vediamo solamente la manifestazione luminosa del Figlio di Dio, ma anche l’umanità del Figlio dell’uomo, unite insieme. Nel corpo pienamente umano del tutto simile al nostro viene anticipato ciò che l’uomo è chiamato a diventare.

Cosa può portare l’uomo, me e te, a questa radicale trasformazione che vediamo anticipata in Gesù? Il rapporto obbediente e dialogico con la Parola – Mosé ed Elia – e la preghiera – l’ascolto della voce del Padre che ci rivela la nostra vera identità di suoi figli nel Figlio –.

Nessuno può stare davanti a Gesù, in un rapporto vero, vivo ed efficace con lui, senza già sperimentare quella trasformazione che egli vuole operare in noi. Non si può vivere l’esperienza della preghiera, dell’ascolto della Parola, e restare tali e quali come se niente fosse.

È infatti proprio il rapporto di sottomissione alla volontà del Padre e il rapporto con la Scrittura che ha permesso a Gesù di vincere le tentazioni del Maligno, di prendere su di sé la croce, di accogliere la morte con la certezza nella risurrezione.
Così, quando entriamo in una vera e profonda relazione di obbedienza al progetto di Dio su di noi, di ascolto e dialogo orante con lui, il Padre può compiere quella trasformazione che ci conduce alla nostra più vera e profonda identità, ad essere ciò che siamo chiamati ad essere, ciò per cui Dio ci ha creati, suoi figli amati e sua gloria.

 

 

Gli apostoli, di fronte alla preannunciata prospettiva della morte di Gesù sulla croce, sperimentano la paura del fallimento, di aver seguito un’illusione, il miraggio di un “regno di Dio” che mai si realizzerà. Dio, invece, ci incoraggia ad andare avanti, anche se non conosciamo dove, come e quando la sua promessa si realizzerà. Ci chiede semplicemente di fidarci di lui, di ascoltare la sua Parola.

Il meglio della nostra vita deve ancora venire. Dipende solo da noi desideralo e adoperarci perché si realizzi.