Misericordia io voglio

La Chiesa non è l’hotel dei giusti, ma l’ospedale da campo dei peccatori.

Dal Vangelo secondo Matteo (9,9-13)

In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».

Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

 

 

 

Matteo, autore di questa pagina che leggiamo quest’oggi nella liturgia, non teme di presentarsi come un pubblicano, perdonato e chiamato, e così ci fa capire in che cosa consiste la vocazione di Apostolo: è prima di tutto riconoscimento della misericordia del Signore, del dono gratuito del suo amore. Solo così potrà annunciare il Vangelo della misericordia per raggiungere quanti ne hanno maggiormente bisogno.

Se Gesù, con la sua chiamata, guarda al futuro di quest’uomo inviso alla gente, è duro a morire il giudizio sul suo passato da parte di quella stessa gente, soprattutto quella pia e devota farisaica,  e forse anche dalla comunità dei discepoli della prima ora. Anche san Paolo fece non poco fatica per farsi accettare dalla comunità cristiana. Scrivendo agli efesini (cfr Ef 4,2-6) afferma che la nostra vocazione consiste nel “sopportarci a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”, anche in quanti facciamo fatica ad accogliere come fratelli, dono di Dio per noi. 

 

 

San Francesco nel suo Testamento scrive che il Signore gli donò dei fratelli. I compagni nella fede e nel discepolato non sono amici che mi scelgo in base al gradimento e giudizio personali, ma sono fratelli da accogliere da Dio con la misericordia con cui Dio li ha chiamati e li ha donati alla comunità. Un motivo di riflessione per chi con troppa facilità e giudizi affrettati punta il dito contro la comunità o qualche suo membro. La Chiesa non è l’hotel dei giusti, ma l’ospedale da campo dei peccatori in cui ogni suo membro è chiamato a prendersi cura dell’altro, a farsi medico del fratello sapendo di essere per primo bisognoso di altrettanta cura.