Misericordia io voglio

Ma siamo così sicuri che Dio gradisce l’offerta di cose morte?

Dal Vangelo secondo Matteo (12,1-8)

In quel tempo, Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle.

Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato».

Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

 

 

 

Ogni sacrificio, per sua natura, esige la morte del suo oggetto. Ma è proprio vero che Dio gradisce l’offerta di cose morte, di una esistenza mortificata? San Paolo, riferendosi al culto spirituale dei credenti, afferma che a Dio va offerta la nostra esistenza in “sacrificio vivente” (cfr Rm 12,1). Perché per Dio non c’è cosa maggiormente gradita che la nostra vita di figli. E perché avessimo vita in abbondanza ha scelto di sacrificarsi lui per noi, al posto nostro. Dio non cerca gente afflitta, sofferente, dalla faccia smorta, ma figli gioiosi e grati, capaci di dare vita agli altri con la misericordia con cui ci ha rigenerati a nuova vita.

 

 

Se c’è qualcosa da sacrificare, da affamare e far morire, sono sicuramente il nostro peccato, il nostro egoismo e la nostra superbia, anche quella spirituale, che ci fa sentire a posto non per la grazia santificante di Dio ma per i nostri meriti, per ciò che abbiamo fatto o non fatto da noi stessi. Quando lo capiremo?