II Domenica di Quaresima – B

Procediamo a testa alta verso la risurrezione, illuminati dalla luce e dalla bellezza del volto glorioso di Cristo Risorto.

Dal Vangelo secondo Marco (9,2-10)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

 

 

 

Se la scorsa Domenica abbiamo sottolineato che la Quaresima è il luogo-tempo in cui la Parola ci ri-crea e lo Spirito ri-anima la polvere del nostro deserto, in questa seconda Domenica di Quaresima il Vangelo della Trasfigurazione ci mostra la mèta del nostro cammino di conversione.
L’abbiamo anticipato nella riflessione del Mercoledì delle Ceneri: se non si ha chiaro l’obiettivo, non lo si desidera e non lo si fa proprio, allora tutto diventa uno sterile ritualismo vuoto, fine a sé stesso. Tutto diventa “ipocrisia-teatralità” come potevano apparire agli occhi di Gesù le pratiche della preghiera, del digiuno e dell’elemosina così come erano vissute nella sua epoca.

Ci sono tre modi di vivere la Quaresima. Quello di chi vive questo tempo come uno sterile ripetersi di riti, vuoti e fine a sé stessi. Poi c’è quello di chi in un certo senso vive già di suo la vita e l’esperienza religiosa come una perenne quaresima di penitenza e sacrifici, magari con una certa dose di masochismo spirituale. Infine, c’è chi affronta la Quaresima come uno sportivo che ha presente l’obiettivo – vincere la competizione agonistica – e pertanto si sottopone ad una rigida dieta alimentare, a un duro e quotidiano allenamento, accettando di dover rinunciare a tante cose che pur essendo buone non gli sono utili al conseguimento dell’obiettivo.

Una cosa su cui molto lavora ogni bravo allenatore o direttore di squadra con gli atleti è, oltre alla preparazione fisica, la loro preparazione psicologica. Un atleta vincente è quello che scende in campo convinto della difficoltà della competizione ma anche della possibilità della vittoria. Se, al contrario, un atleta affronta la competizione convinto che l’avversario è più forte e che non potrà mai sconfiggerlo, ha già perso in partenza.

 

Così Gesù, dopo aver prospettato ai suoi discepoli la sua passione e morte sulla croce e aver chiesto loro di portare ognuno dietro a lui la propria croce, comprende la giusta preoccupazione dei suoi discepoli di non riuscire ad arrivare fino in fondo. Pertanto, è necessario mostrare loro che la fine di questo combattimento contro il Male non sarà ingloriosa, tutt’altro! Gesù è nella condizione divina, è il compimento delle promesse di salvezza del Padre, la sua vita e il suo amore sono più forti della morte. Lui è il Vivente ed ha già la vittoria in tasca!

Quanto è significativa, allora, l’esclamazione di Pietro di fronte a Gesù manifestatosi nella sua gloria: Rabbì, è bello per noi essere qui!
Non c’è altra motivazione perché quei discepoli prendano la propria croce dietro e con Gesù. Non c’è altra motivazione perché ognuno di noi affronti il suo personale combattimento spirituale contro il peccato, il Maligno e le sue seduzioni.
È bello, Gesù, stare con te. È bello quello che vuoi fare per me. È bella la tua vittoria. È bella la tua luce con cui vuoi spazzare via le mie tenebre. È bello, Gesù, arrivare là dove tu mi vuoi condurre. È bella la vita nuova che mi prospetti. È bello vivere da risorti!

Senza questa bellezza che Gesù vuole condividere con me e con te e senza questo desiderio di accogliere cotanta bellezza, allora non vale la pena neanche di avere fede. Se non siamo convinti che Cristo è veramente risorto dai morti, vincendo per noi il peccato e la morte, e se non siamo profondamente convinti che anche noi risorgeremo con lui, allora, come scrive l’apostolo Paolo ai Corinti, “vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (cfr 1Cor 15,17-19).

 

 

Quanto è importante, allora, che in questo tempo di Quaresima, piuttosto che rabbuiare e quasi intristire i nostri ambienti ecclesiali, ci dedicassimo allo svelamento della bellezza del volto di Cristo, della bellezza della fede e della vita cristiana.
Particolarmente i giovani sono attratti dalla bellezza, non soltanto quella estetica, ma anche quella interiore, della “luce” che promana da un viso, da un’amicizia, da un ambiente. C’è tanta luce e tanta bellezza nel volto di Cristo, nella fede cristiana, nelle nostre comunità, ma spesso siamo incapaci di mostrarla, di farla trasparire dai nostri volti, dai nostri incontri, dai nostri ambienti.
La nostra società, quella dell’immagine, quella di Instagram e TikTok, di Facebook e YouTube, è vero che ingoia tanta spazzatura visiva e culturale, ma forse anche per questo sa ben riconoscere la bellezza, la luminosità, lo stile, quando sono veri, autentici.

Gesù ha mostrato ai suoi discepoli la propria bellezza e Pietro, insieme agli altri, è stato capace di riconoscerla, se n’è lasciato affascinare. Conosco tantissimi giovani che hanno scoperto la bellezza di Cristo quando lo hanno incontrato personalmente e la luce del suo volto illumina i loro volti e le loro giornate con grande meraviglia dei colleghi di studio o di lavoro. È questa luce e questa bellezza nei volti, nei gesti, nelle relazioni, negli ambienti, che il mondo cerca, desidera, ha fame.

È questa luce e questa bellezza che devono riempire anche le nostre chiese e comunità, particolarmente in questo tempo di Quaresima. Non siamo masochisti spirituali, non stiamo andando a capo chino incontro alla morte, ma procediamo a testa alta verso la risurrezione, illuminati dalla luce e dalla bellezza del volto glorioso di Cristo Risorto.

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.