Il nostro problema non è quello di amare, ma di lasciarci amare con libertà e gratuità.
Dal Vangelo secondo Matteo (21,1-14)
In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse:
«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire.
Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: Dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
In questa Domenica ascoltiamo nella prima lettura un brano del cap. 25 del profeta Isaia dove annuncia che il Signore preparerà “un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati” in contrapposizione ad un “velo che copriva la faccia di tutti i popoli” e a delle “lacrime su ogni volto”.
Nel Vangelo ascoltiamo invece di un banchetto preparato da un re (immagine di Dio Padre) a cui però gli invitati oppongono un netto rifiuto. Gesù, con la parabola odierna, sta dicendo che è arrivato il tempo del compimento di quella promessa pronunciata per bocca del profeta Isaia, il tempo della gioia e dell’abbondanza, il tempo in cui Dio asciugherà ogni lacrima, ma i destinatari non se ne preoccupano e non colgono l’opportunità più importante della loro vita. Anzi, insultano e uccidono chi li invita. La conseguenza è che il re invia i suoi servi per strada a raccogliere indistintamente chiunque avessero incontrato.
Ma l’epilogo lascia l’amaro in bocca: uno di questi commensali raccolti per strada, non indossa l’abito della festa e perciò viene buttato fuori dalla sala del banchetto.
È evidente in questa parabola, come in tante altre pronunciate da Gesù, che si procede per paradossi: i primi invitati che maltrattano e uccidono i servi; il raccogliere per strada “buoni e cattivi” per introdurli al banchetto; il cacciare fuori in malo modo chi non ha indossato l’abito della festa (si trattava di un indumento, tipo un mantello, regalato ai commensali da chi organizzava la festa, la cui accettazione era segno di condivisione e di comunione con il festeggiato).
La domanda di fondo, piuttosto retorica, che lascia l’amaro in bocca è come sia possibile rifiutare, opporsi coscientemente alla Grazia, il dono gratuito dell’amore di Dio. L’unico modo con cui Dio si relaziona con l’uomo è appunto secondo la Grazia, cioè secondo gratuità e libertà. Eppure l’uomo è capace di opporvi un ostinato rifiuto.
C’è un velo da togliere, da strapparci dal volto, dice il profeta Isaia: lasciarci amare da Dio, lasciarci inondare dai suoi regali.
Quando una persona, di norma, rifiuta un dono? Quando non si fida di chi glielo offre ovvero quando si ritiene che c’è dietro una qualche sorta d’inganno, magari di una pretesa nascosta. E già questo modo di ragionare la dice lunga sul fatto che Grazia e Fede vanno di pari passo. Quando non ci si fida di Dio ogni suo dono è destinato a ritornare al mittente.
Ma altre volte si rifiuta un regalo o un invito perché non ci si ritiene capaci di ricambiare adeguatamente. In fondo vorremmo tutti essere all’altezza di chi ci fa un regalo. E così anche nei confronti di Dio. Essere come Dio, alla sua altezza, allo stesso livello delle sue capacità, altro non è che il riflesso del primo peccato dell’uomo.
L’uomo porta dentro di sé una profonda tristezza derivante da innumerevoli delusioni da parte di familiari, amici, colleghi. Quante volte si è sperimentato il tradimento all’interno delle relazioni familiari, affettive o amicali. Ed è questa catena di delusioni che lo porta a diffidare anche di Dio. Il vero problema che come uomini ci portiamo addosso, come un velo di tristezza, è proprio quello di accettare che ci possa essere qualcuno che ci ami liberamente e gratuitamente, senza se e senza ma, senza pretese o aspettative di ricompense. Il nostro problema non è quello di amare, ma di lasciarci amare, di abbassare le nostre difese nei confronti di Dio che ci ama infinitamente e gratuitamente.
Lo stesso apostolo Pietro ha dovuto abbassare le sue difese nei confronti dell’amore di Dio. Pur amando Gesù, non gli è facile accogliere il suo amore quando gli si inginocchia dinanzi per lavargli i piedi (gesto di grande significato affettivo prima ancora che di umiltà).
Ma la cosa più triste, simboleggiata dall’invitato senza l’abito della festa, sta nell’accettare i doni di Dio rifiutando però di condividerne i sentimenti. Come è triste andare ad un banchetto di compleanno o di matrimonio pensando solo al mangiare e al bere come se si fosse alla mensa aziendale, senza condividere la gioia di chi ci ha invitato.
Oggi, al banchetto dell’Eucaristia, lasciamo cadere ogni nostra resistenza e accettiamo che Dio ci ha tanto amati da averci donato il suo figlio Gesù, non perché ce lo meritassimo, non perché fossimo in grado di contraccambiare, ma unicamente perché anche quest’oggi, alla mensa eucaristica, fosse tolto da noi ogni velo di tristezza e fossimo partecipi della sua gioia. Il Signore ci vuole felici e per questo ha voluto farci il suo dono più grande, il dono della sua stessa vita. Sulla croce, come oggi nell’Eucaristia, Gesù ci dice: Io ti amo da morire, io ti amo così! Tu non vali la pena, tu vali la gioia di morire per te. Prendi parte alla mia gioia.
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.