IV Domenica di Pasqua – B

Quando Gesù si presenta a noi come il Pastore delle nostre vite non ci sta dicendo altro che noi siamo per lui cosa santa per cui vale ed è valsa la pena morire!

Dal Vangelo secondo Giovanni (10,11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

 

 

 

Cosa può dire a noi oggi la parabola del pastore e delle pecore narrata da Gesù nel vangelo che viene proclamato questa Domenica? Per la maggior parte di noi, uomini e donne del terzo millennio, pastori e greggi non sono uno spettacolo abituale, né l’immagine delle pecore suscita facilmente in noi un processo di identificazione. Si tratta però di comprendere il linguaggio biblico, elaborato da un popolo che conosceva bene la vita dei pastori e il loro legame con le pecore, e addirittura proiettava su Dio l’immagine del pastore, invocandolo quale “pastore di Israele” (Sal 80,1). I figli di Israele, inoltre, attendevano un Re Messia con i tratti del pastore buono, capace di guidare il gregge, di conoscere le sue pecore a una a una fino a chiamarle per nome, fornendo loro il cibo e le cure necessarie (cf. Ez 34; Ger 23,1-8).

Cercheremo, perciò, di comprendere meglio il senso delle parole di Gesù partendo dal principale contrasto con cui lui stesso si mostra a noi come Pastore buono. Dice, infatti, che lui non è come i mercenari che fuggono quando arriva il pericolo. Chi sarebbero questi mercenari?

Mercenario nella vita dell’uomo è tutto ciò che apparentemente sembra svolgere l’interesse dell’uomo ma di fatto assolve ai propri personali interessi. Mercenario per antonomasia è il serpente tentatore delle origini che solo apparentemente vuol fare l’interesse dell’uomo a dispetto della presunta gelosia e falsità di Dio. Sembra prendersi cura di noi, ma nei fatti si prende cura di sé stesso e dei propri interessi. E, infatti, di fronte al pericolo, i lupi, si cura solo di salvare sé stesso. Eppure, noi preferiamo stare “sotto padrone”, preferiamo idolatrare tutto ciò che soddisfa i nostri bisogni umani di nutrimento e custodia, nonostante ci venga richiesto un prezzo da pagare, piuttosto che credere all’amore gratuito e fidarci di Dio il quale non pretende nulla in cambio per il suo amore per noi.
Abbiamo radicati in noi stessi gli stessi sentimenti del popolo di Israele che lungo il cammino del deserto più volte manifestò l’intenzione di voler tornare indietro in Egitto, sotto schiavitù, piuttosto che fidarsi dell’amore di Dio. Almeno lì – pensavano – seppur schiavi, alla fine di una dura giornata di lavoro, c’era un tetto sotto cui ripararsi e un pentolone di un non meglio precisato intruglio con cui nutrirsi… Pensieri non tanto dissimili alle storie che si fanno molte donne vittime di violenza domestica o sfruttate sessualmente da partner che affermano di amarle, storie di tanti uomini e donne e perfino bambini, magari stranieri fuggiti da guerre, fame o persecuzioni, che nel nostro occidente vengono sfruttati nel lavoro o perfino abusati nella loro dignità: almeno ho un tetto e un pasto caldo assicurati!
Siamo così noi uomini di ieri e di oggi, fa parte della nostra natura: pur di sperimentare un po’ di attenzioni siamo disposti a giustificare qualsiasi cosa, qualsiasi abuso o sfruttamento. Siamo come degli asini che rincorrendo la cesta della biada non si rendono conto di girare e spingere in tondo la macina di pietra del mulino. Ed ecco pronta la nostra giustificazione: ma d’altronde ogni cosa non ha forse un prezzo? c’è forse qualcuno che fa niente per niente? in questo mondo niente è gratis!  

E facendo tali affermazioni, dichiariamo da noi stessi che siamo schiavi, che siamo merce di scambio, che abbiamo appiccicata addosso l’etichetta del prezzo. E il prezzo è la nostra stessa vita e la nostra dignità di figli di Dio, eredi del Re dei re e Signore dell’universo. Dal momento in cui nasciamo veniamo sottomessi ai mercenari di questo mondo e siamo di fatto indifesi di fronte ai lupi famelici che vogliono divorare le nostre esistenze. Sappiamo già che solo la morte ci salverà da questo sistema di schiavitù a cui nessuno sembra poter sfuggire. Anche i ricchi e i potenti di questo mondo, prima o poi, dovranno affrontare il loro lupo e, nonostante il loro potere e il loro denaro, non potranno fuggire il suo morso mortale.

 

 

Ma è proprio questa la menzogna diabolica del peccato che ci insidia fin dalla creazione, il pensare cioè che non ci sia soluzione al nostro limite umano, all’essere schiavi del male, degli uomini, del lavoro, dell’economia, della politica, delle cose e infine anche della morte. Che a credere all’amore non ci si guadagna nulla, che con l’amore non ci sazia il ventre.

Invece, è vero tutto il contrario! Gesù non è un mercenario, anche se il serpente antico vuole indurci a pensarlo. Gesù è un pastore vero, un pastore buono, è l’unico vero pastore che vuol prendersi cura di noi sul serio, perché ci ama. Lui è venuto a liberarci dalla schiavitù del male, del peccato e di tutte le loro declinazioni terrene. Lui è l’unico che si frappone tra noi e i lupi famelici che vogliono divorare le nostre vite, tra noi e la morte. Lo ha già fatto prendendo su di sé tutto il male del mondo e prendendo il nostro posto di condannati alla morte. Si è offerto volontariamente alle fauci dei lupi perché noi avessimo salva la vita.

Quanta menzogna c’è pure in quei santini che circolano negli ambienti ecclesiali in cui è rappresentato Gesù che accarezza in braccio la sua pecorella! Il vero santino che bene rappresenta il Vangelo di oggi sarebbe quello di un pastore dilaniato, sbranato dai lupi, che con il sacrificio della sua vita ha permesso alle sue pecore di salvarsi da una sicura morte e continuare beate a brucare l’erba verde dei campi…

Sta a noi , dunque, scegliere se restare schiavi dei mercenari, del peccato e della morte o sottometterci alla custodia del buon Pastore, Gesù Cristo. È doveroso ricordarci in questo contesto del discorso la domanda retorica che Caino rivolge a Dio quando questi gli chiede conto della sorte di Abele: Sono forse io il custode di mio fratello? (Gen 4,9). Ebbene, in ebraico il verbo custodire è shamàr, che significa anche guardiano e pastore, comunque colui che si prende cura di qualcosa o di qualcuno. Il verbo si riferisce però anche all’osservanza dei comandamenti, della Torah, la parte più sacra della Bibbia. Per la Scrittura, custodire il fratello è una cosa sacra, come l’osservanza della Legge, anzi, come sappiamo dai Vangeli, è ancora più importante dell’osservanza della Legge stessa. San Paolo dirà che compimento della Legge è l’amore (Rm 13,10).

Quando Gesù si presenta a noi come il Pastore delle nostre vite non ci sta dicendo altro che noi siamo per lui cosa santa per cui vale ed è valsa la pena morire! Lui ci ha stimati degni della sua stessa vita, più del suo sangue benedetto. La nostra vita, la nostra liberazione dal male, dal peccato e dalla morte che ne consegue, è così importante che è valsa la pena spogliarsi della sua gloria divina ed assumere la nostra condizione mortale fino a prendere il nostro posto di condannati alla morte (cfr Fil 2,5-11). E tutto ciò lo ha fatto per amore, perché mi ama, perché ti ama! Non c’è trucco e non c’è inganno: Gesù ti ama così, gratuitamente, immeritatamente, perché non prima ma solo dopo aver sperimentata la liberazione dalla menzogna del peccato ti si apriranno gli occhi alla verità che tu sei stato creato per la libertà, per la vita e per la gloria immortali. E solo quando sarai liberato dalle tenebre che offuscano la tua mente scoprirai che per l’amore non c’è prezzo, che l’amore è incompatibile con ogni forma di schiavitù, che l’amore è immortale ed eterno.

In questa giornata mondiale di preghiera per le vocazioni (leggi il Messaggio del Papa) preghiamo il Signore che doni alla sua Chiesa e al mondo pastori che sappiano spendersi per gli uomini con amore e per amore, facendo di sé stessi un dono per testimoniare l’amore di Dio per ogni uomo. Pastori senza alcuna pretesa se non quella di donarsi di più, finanche al martirio come don Pino Puglisi, il vescovo Oscar Romero, il P. Massimiliano Kolbe e tanti altri santi pastori che costellano il cielo e ci indicano la rotta per una vita piena e duratura.

fra’ Saverio Benenati, ofm conv.