Proclamare Cristo Buon Pastore significa accogliere la fede salvifica sulla sua Parola e da questa lasciarsi condurre.
Dal Vangelo secondo Giovanni (10,27-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
La quarta Domenica di Pasqua è chiamata anche del “Buon Pastore” poiché ogni anno la pagina del Vangelo che viene proclamata riguarda proprio questa immagine di Dio che Gesù approfondisce applicandola a sé stesso nel Vangelo di Giovanni al capitolo 10.
Nei commenti degli anni precedenti ci siamo soffermati sul fatto che le pecore da tempo immemorabile vivono in una sorta di simbiosi e particolarmente di dipendenza nei confronti dei loro pastori. Se non vengono quotidianamente condotte al pascolo e poi munte, annualmente tosate e così via, rischiano seriamente la morte. Dunque, l’immagine del pastore e delle pecore è alquanto significativa del rapporto di dipendenza vitale che c’è o almeno dovrebbe esserci tra il gregge delle pecore – la Chiesa dei credenti – e il pastore Gesù Cristo.
Nella pericope proclamata quest’anno però viene messo in risalto il rapporto verbale-uditivo tra il pastore e le sue pecore: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Il senso dell’udito è, più della vista, il senso della fede. San Paolo afferma che “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm 10,17). Al contrario, il vedere ha a che fare con l’idolatria. La parola idolo, infatti, deriva dal greco eidolon che significa aspetto, immagine, che a sua volta deriva da eido che significa appunto l’atto del vedere qualcosa. Ecco perché leggiamo così spesso nei vangeli che Gesù oppone un netto rifiuto a chi gli chiede di compiere e far vedere dei segni della sua divinità. E anche quando Gesù compie dei miracoli nei confronti dei ciechi che recuperano così la vista, segno della “visione di fede” acquisita o recuperata, tali miracoli sono sempre preceduti da un “dialogo di fede”, da una Parola che procura la “vista-fede” nell’interlocutore.
Gesù ci chiede una fiducia “sulla parola”, sulla sua parola, come quella di Pietro che getta le reti dopo una notte in cui non aveva pescato alcunché. Sulla sua Parola si fida il centurione romano andato a supplicarlo di guarire il suo servo malato. E, non ultima, la Beata Vergine Maria, madre e modello di ogni credente, si fida ed esclama il suo “Eccomi” dicendo: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. Di lei proclama la cugina Elisabetta: “beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Proclamare Cristo Buon Pastore significa, dunque, accogliere la fede salvifica sulla sua Parola e da questa lasciarsi condurre, piuttosto che dalla ricerca di segni visibili. In questo senso è significativo il Salmo 23 in cui l’orante dichiara la sua incondizionata fiducia in Dio, Pastore d’Israele, anche se si dovesse trovare avvolto dal buio: “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”.
Dunque, se c’è questa fiducia in Gesù sulla base unicamente della sua Parola, allora avviene un atto di conoscenza da parte di Lui – io le conosco – e un atto di sequela da parte dei credenti – ed esse mi seguono –.
L’atto del conoscere, nell’ebraico e quindi nella Scrittura, indica l’intimità di una relazione, l’entrare dentro l’oggetto/il soggetto conosciuto. Da qui viene l’accezione che indica l’atto sessuale tra lo sposo e la sua sposa e quindi il divenire “una cosa sola”, “una sola carne”. Se, dunque, rileggiamo la frase di Gesù, dovremmo così tradurla: Le mie pecore ascoltano la mia voce e, in conseguenza di ciò, io divengo con esse una cosa sola ed esse mi seguono.
Niente a che vedere con la lussuria che si ferma all’esteriorità della persona, alla sua parte “lussureggiante”, cioè a ciò che è appariscente all’esterno. Gesù con la sua Parola, invece, penetra fino in fondo al nostro essere e come scriveva sant’Agostino diventa più intimo a noi di noi stessi. Come una spada a doppio taglio, Gesù con la sua Parola “penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Di ciascuno di noi conosce ogni cosa, come messi a nudo nella nostra umanità. Conosce i nostri pregi e i nostri difetti, conosce i nostri aspetti luminosi, limpidi e belli, come i nostri angoli più oscuri e nascosti. Sa di che pasta siamo fatti, ma per questo non ci giudica o condanna, ma al contrario “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”. Ci ama così tanto che non tiene conto del male che ci abita e affligge, che ci seduce e ci conduce alla morte, bensì è disposto a morire per noi e al posto nostro perché veniamo strappati dalle grinfie del maligno.
Chi viene a conoscenza di questo amore e da esso si lascia conoscere, non può che restarne affascinato e se ne innamora.
Vi auguro questa Domenica di poter fare questa esperienza o di rinnovarla in maniera speciale. Non c’è cosa più bella di sperimentare quanto l’amore di Dio per ciascuno di noi sia così personale, illuminante, libero e liberante, tenero e profondo allo stesso tempo. Permetti oggi a Gesù di amarti così come lui vuole amarti e come tu hai bisogno di essere amato/a.
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.
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