Un giovane è sempre un dono e un’opportunità per cambiare il ritmo del cammino, al suono di una nuova danza.
Se c’è una cosa che infastidisce le nuove generazioni è il sentire ripetere in vari ambiti che i giovani sono il futuro della società, della nazione, della Chiesa… Come se l’essere giovani non avesse alcun valore e rilevanza nel presente. Oggi sei solo un investimento, un rischio calcolato, in vista di un rendimento futuro. Oggi tocca agli adulti tenere le redini, domani – se mai faranno un po’ di spazio – toccherà ai giovani.
È veramente triste un tale modo di ragionare che non tiene in considerazione il fatto che forse i giovani hanno qualcosa da dire oggi, proprio mentre sono giovani, alla società, alla politica, al mondo del lavoro e dell’economia, alla Chiesa. Non regge neanche il ragionamento secondo cui i giovani sono ancora in formazione, in evoluzione, e pertanto instabili e incapaci di assumersi responsabilità “adulte”. Viviamo, infatti, in un’epoca in cui è maggiormente evidente come chiunque e a tutte le età è in formazione permanente. Anzi, a volerla dire tutta, mentre in passato erano gli adulti a trasmettere il loro sapere alle nuove generazioni, oggi è vero anche il contrario: in un mondo in continua evoluzione tecnologica, i nativi digitali sono molto più esperti e capaci delle precedenti generazioni.
Più volte Papa Francesco è tornato in tanti suoi discorsi sul tema dell’immobilismo nella Chiesa, puntando esplicitamente il dito sul “Si è fatto sempre così” che blocca ogni iniziativa di rinnovamento e l’urgente nuova evangelizzazione, ma soprattutto spranga le porte a quella ventata di freschezza e di novità che lo Spirito vorrebbe soffiare anche per mezzo dei giovani.
È vero che i giovani hanno molto da imparare dagli adulti, anche nell’ambito della trasmissione della fede, ma è altrettanto vero che anch’essi hanno qualcosa da dire a loro volta agli adulti, anche se talvolta i loro ragionamenti possano apparire troppo “innovativi” e infastidire chi si sente “arrivato”. Hanno voglia di fare, di mettersi in gioco, di assumersi delle responsabilità. Ed è triste quando una comunità, invece che servire i giovani coltivando i loro sogni e le loro aspettative, vuole solamente servirsi dei giovani per i propri bisogni, particolarmente per quelle attività per cui si fa fatica a trovare adulti disponibili. Non è raro ascoltare in certi ambienti frasi del tipo “Questa cosa lasciamola ai giovani, facciamola fare a loro”, non tanto perché gli appartiene, ma come magnanima concessione degli adulti ovvero perché non ci sono altri disponibili a farlo. Ai giovani si riservano solo “gli scarti” degli adulti. Lo si fa nella società, nella politica, nel mondo del lavoro e così anche nella Chiesa.
In ogni momento della storia, in ogni “oggi”, ogni età – giovani, adulti e anziani – ha diritto al suo spazio, non in contrapposizione gli uni contro gli altri, né in maniera lineare – prima gli uni e poi (forse) gli altri – ma in dialogo, corresponsabilmente e collaborativamente.
Di fronte ad una società che “uccide” i suoi figli, i loro sogni, il loro bisogno di esprimere la propria giovinezza, il proprio vigore, il “nuovo” che essi rappresentano prima che diventi “passato”, Gesù ci spinge ad interrogarci seriamente sulla questione.
In Luca 7,11-17 leggiamo il celebre episodio spesso identificato come quello della “vedova di Nain”, focalizzando così l’attenzione del lettore sulla povera madre piangente. Sarebbe invece opportuno puntare l’attenzione sul “ragazzo di Nain” con il quale Gesù intesse un dialogo e il cui ritorno in vita cambia radicalmente la situazione e i sentimenti non solo della madre ma anche di tutta la città. Mentre, infatti, “molta gente della città”, con in testa la madre, piange e si addolora per la morte di quel giovane che, mestamente, viene accompagnato al cimitero, fuori dalla città, Gesù ferma i portatori ed entra in dialogo con il defunto, risorgendolo con la potenza della sua Parola. Il giovane – dice il testo – “cominciò a parlare” (segno che aveva qualcosa da dire!) e cambia i sentimenti e la direzione di quello che per l’innanzi era solo un triste corteo funebre.
Quando un giovane, avendo incontrato Gesù, per la potenza della sua Parola e della sua Grazia risorge a nuova vita, ha il potere di far cambiare verso a tutta la comunità e alla società in cui vive. “Tutti furono presi da timore” dice il testo evangelico, ma quel giorno quel giovane risorto da Gesù trasformò il lamento in canto di gioia, facendo cambiare la direzione e il ritmo dei passi di tutta una città. Sì, quel preciso giorno, non dopo qualche anno!
Gli adulti permettano ai giovani di convertire i loro passi stanchi, i loro volti rassegnati e i loro lamenti sulla gioventù di oggi. Un giovane è sempre un dono e un’opportunità per cambiare il ritmo del cammino, al suono di una nuova danza. E, viceversa, i giovani colgano l’opportunità di lasciarsi incontrare, toccare, parlare e risorgere dal Signore Gesù, l’unico che sinceramente ama e si fida dei giovani e consegna loro la missione sempre nuova e sempre attuale di rinnovare la sua Chiesa e di trasformare il mondo.