I Neet sono in ritirata

È in netta riduzione uno dei fenomeni più spinosi della disoccupazione giovanile, quello dei ragazzi che non studiano e non lavorano.

 

I Neet italiani sono diminuiti di dieci punti percentuali negli ultimi dieci anni. Lo confermano gli ultimi dati dell’Istat. I giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e non risultano impegnati in un’attività lavorativa nel 2023 erano il 16,1% (1,3 milioni secondo il Cnel), in calo di 2,9 punti percentuali rispetto al 2022 e di ben 7 punti rispetto al 2021. La percentuale è al di sotto anche dei livelli del 2007 (18,8%), anno precedente la crisi economica. Il livello più alto era stato raggiunto nel 2014 quando più di un quarto della popolazione giovanile (il 26,2%) si trovava in questa condizione.

A livello europeo però l’Italia è penultima in classifica, seguita solo dalla Romania (19,3%). Il gap con l’Europa è massimo per i diplomati (6,5%), mentre scende al 4,7% per i laureati e al 2% per chi si è fermato alla scuola media. Il calo dei Neet è infatti più marcato proprio per i bassi titoli di studio e deriva in questo caso da un significativo aumento dell’occupazione. L’incidenza poi di Neet tra i giovanissimi è molto contenuta (6,3%) a motivo della loro alta partecipazione ai percorsi di istruzione che sfiora il 90%, mentre sale al 19% nella classe di età 20-24 e al 22,7% tra i 25-29enni.

 

 

Ad incidere in maniera determinante sulla riduzione dei Neet è l’aumento degli occupati ma anche dei livelli di istruzione. La percentuale di laureati tra i 25 e i 34 anni è passata dal 29,2% del 2022 al 30,6% del 2023 mentre nello stesso periodo nella media Ue il tasso di giovani con un titolo terziario è passato da dal 42% al 43,1%.

Avere una laurea in tasca è sicuramente una garanzia quando si parla di lavoro. Il differenziale nel tasso di occupazione delle persone tra i 25 e i 64 anni con un titolo terziario rispetto a quello secondario in Italia è di 11 punti, leggermente superiore alla media Ue (9,8%). Il tasso di laureati occupati è dell’84.3% e quello dei diplomati del 73,3%.

Ma nell’indagine Istat si rileva anche che quando i genitori hanno un basso livello di istruzione quasi un quarto dei giovani (24%) abbandona precocemente gli studi e poco più del 10% raggiunge il titolo terziario. Al contrario, se almeno un genitore è laureato, le quote si invertono drasticamente.

Infine, il rapporto Istat rivela che una donna su quattro è in possesso di un titolo terziario, il 24,9% a fronte del 18,3% degli uomini. Ma questo vantaggio nell’istruzione non si traduce in un vantaggio lavorativo: il tasso di occupazione femminile è molto più basso di quello dei maschi (59% contro 79,3%). Ma al crescere del titolo di studio, i differenziali occupazionali di genere si riducono. Il tasso di occupazione tra le laureate è di 19% punti percentuali superiore a quello delle diplomate a fronte di soli 4,3 punti di differenza tra gli uomini. Anche le differenze con la media europea si riducono significativamente all’aumentare del livello di istruzione: sono massime per le donne con un basso titolo di studio e minime per le laureate.

 

 

Eurostat, da parte sua, nell’edizione 2024 del report “Key figures on Europe” ha certificato che nel 2023 l’Italia ha fatto registrare il secondo più alto aumento percentuale della occupazione (+1,5 punti percentuali), oltre il doppio della media Ue. Cresce pertanto l’occupazione e diminuisce il rischio di povertà, ma il belpaese resta comunque indietro rispetto alla media europea. Nel 2023, infatti, l’Italia ha avuto un incremento record degli occupati con 1,5 punti in più (seconda sola a Malta, oltre il doppio della media Ue, ma resta in fondo alla classifica con appena il 66,3% di persone tra i 20 e i 64 anni che lavora.

Di conseguenza, rimane alto il rischio di povertà ed esclusione sociale di tutti quei minori che vivono il disagio economico delle loro famiglie per la mancanza di un’occupazione stabile. Lo scorso anno oltre un quarto dei minori, il 27,1%, era in questa situazione di disagio, dato in flessione rispetto al 28,5% del 2022, ma sempre superiore alla media Ue (24,8%).