Concludiamo la serie dedicata ai “doni” che Francesco dichiara di aver ricevuto dal Signore e che intende trasmettere in eredità con il suo Testamento a tutti i suoi seguaci di tutti i tempi.
Con questa riflessione concludiamo la serie dedicata ai “doni” che Francesco dichiara di aver ricevuto dal Signore e che intende trasmette in eredità con il suo Testamento a tutti i suoi seguaci di tutti i tempi.
Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: “Il Signore ti dia la pace!”.
– Testamento; FF 121
Prima di addentrarmi sul significato di quest’ultimo dono, è bene aprire una parentesi riguardo alla ricezione stessa di questo dono da parte di Francesco. Egli, come già ha scritto riguardo alla forma di vita evangelica, dice che il saluto di Pace gli è stato “rivelato” dal Signore. È da considerare che Francesco usa nei suoi scritti il verbo revelavit due volte nel Testamento del 1226 e solo una volta in più nella lettera a frate Jacopa: “Sappi, carissima, che Cristo benedetto, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della mia vita è ormai prossima” (LGc,2; FF.254). Il contesto della lettera a frate Jacopa, come nelle due volte del Testamento, è fortemente carico di spiritualità. Si tratta infatti della vita del Santo che si apre a “sora nostra morte corporale” nell’attesa serena dell’incontro con Dio.
Dunque, il saluto di pace non è da intendersi come un semplice “buon giorno” o “buona sera” oppure come un modo di distinguersi, al pari dell’abito religioso, dalle altre forme di vita religiosa precedenti il francescanesimo quali il monachesimo benedettino o agostiniano.
Se Francesco scomoda la “rivelazione” divina per il saluto di pace, al pari dell’indicazione circa la “forma di vita” discepolare e apostolica, significa che è qualcosa di costitutivo la persona. E siccome il saluto di pace è parte integrante delle indicazioni che il Signore Gesù dà ai suoi discepoli in quello stesso testo evangelico in cui Francesco riconosce la forma di vita che è chiamato ad assumere, allora significa che le due cose sono collegate: il saluto di pace al pari delle indicazioni di come i discepoli devono andare nel mondo sono la “forma di vita” di ogni singolo seguace di Francesco. Anzi, mentre nella prima rivelazione “vivere secondo la forma del santo Vangelo” abbiamo appunto il “modo di vivere” francescano da discepolo, nella seconda rivelazione “che dicessimo questo saluto: Il Signore ti dia la pace!” troviamo la missione francescana da apostoli della pace.
Insomma: la prima rivelazione è sul come devono essere i frati, secondo la forma del santo Vangelo; la seconda è sul come devono operare, cioé annunciando la pace.
Le due rivelazioni il santo di Assisi non le riceve in momenti e contesti separati tra loro, ma contestualmente a quella triplice apertura del libro dei Vangeli da cui riceve la rivelazione di come vivere insieme a quei primi fratelli che il Signore gli donò. In questo saluto, infatti, troviamo l’eco della triplice apertura del Vangelo nella chiesa di San Nicolò là dove dice: “In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.” (Lc 10,5-6 che va visto in sintonia con Lc 9,3-5 di cui è approfondimento).
Per chiudere questa parentesi, è bene dunque comprendere che quando Francesco parla di “rivelazione” da parte del Signore, sta intendendo qualcosa che come ogni Parola rivelata da Dio è “creatrice”, che ha degli effetti immediati e concreti sulla persona, che la trasforma dal suo interno. Non è un “vestito” da indossare, ma una “forma” su cui viene modellata la propria esistenza.
Fatta perciò questa premessa, comprendiamo che Francesco non intende dirci che ha ricevuto una formula di saluto distintiva rispetto ad altre modalità di saluto. Esso è innanzi tutto una “forma di vita”. La pace con cui “salutare” gli altri è una pace innanzi tutto ricevuta e vissuta.
San Francesco, che era uomo evangelico “sine glossa”, portava nel cuore e nella mente il saluto di Gesù nel giorno della resurrezione, “Pace a voi!”: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”» (Gv 20,19). Per Francesco la pace era inequivocabilmente quella di Cristo. Un termine colmo di significato salvifico e collegato allo shalom ebraico. Una pace che significa la somma di ogni bene che il Signore Gesù ha donato al mondo con la redenzione da lui operata. Egli infatti ha rimediato a quella triplice divisone conseguenza del peccato originale: da sé stessi, dagli altri e da Dio. Gesù risorto restituisce all’umanità la pace paradisiaca perduta: con sé stessi in quanto creature, con gli altri in quanto dono di Dio, con Dio stesso di cui non nascondersi per chissà quale timore umano, in quanto Padre.
Questa Pace è solo opera di Dio, acquistataci mediante il sangue di Cristo e che solo Lui può donare pienamente e compiutamente. Per questo motivo nessuno fra gli esseri umani può dire “pace a voi”, ma può soltanto porgere il saluto-invocazione “Il Signore ti dia pace”. Francesco l’aveva capito; ed aveva anche intuito che introdursi nel tema della pace voleva dire imitare Cristo, cioè fare quel che Cristo aveva fatto e come lo aveva fatto. Solo in questo modo avrebbe fatto espandere il Regno di Dio.
Comprendiamo, allora, che se assumere la “forma del santo Vangelo”, su sui abbiamo puntato l’attenzione nella precedente riflessione, significa conformare la propria vita a Cristo, diventare Alter Christus, allora questa conformazione prevede anche l’annuncio della Pace in quanto compiutezza della missione salvifica di Cristo. Infatti, se la “forma del santo Vangelo” è quella della incarnazione, della kenosi di Cristo fino all’umiliazione della croce, il saluto di Pace è la conformazione alla risurrezione di Cristo. Francesco ha ricevuto dal Risorto il dono della Pace e in quanto lui stesso risorto in Cristo non può non donare la Pace del Risorto.
Per troppo tempo ci si è soffermati a guardare Francesco d’Assisi solamente come l’Alter Christus “crocifisso”, mentre poca attenzione è stata posta sul suo essere Alter Christus “risorto”. In Francesco d’Assisi esiste l’unica conformazione possibile a Cristo, in quanto crocifisso e risorto, l’uomo-Dio, morto e risorto, umiliato e glorificato, e che ha collocato la sua e nostra umanità nella pienezza della gloria eterna del Padre.
La Pace che annuncia Francesco, la Pace del Risorto, nasce da un cuore pacificato dal Signore nella sua triplice dimensione creaturale, relazionale e trascendentale. Si tratta dunque innanzi tutto di vivere nella Pace del Risorto. Da questa esperienza di pacificazione Francesco può annunciare agli altri la Pace del Signore che solo Lui può dare, perché è qualcosa che trasforma la persona dall’interno e i cui effetti sono tangibili all’esterno.
«All’inizio delle sue prediche, offriva al popolo questo messaggio di pace» afferma la Leggenda dei tre Compagni al n° 26 (FF. 1428). Vediamo dunque cosa egli faceva e come agiva. Tommaso da Spalato ne parla nella sua Historia Pontificum Salonitanorum et Spalatensium (FF 2252) raccontando di quando era studente a Bologna. Così scrive: «Mi trovavo, in quell’anno (1222), allo studio di Bologna ed ho potuto ascoltare, nella festa dell’Assunzione della beata Madre di Dio, il sermone che san Francesco tenne sulla piazza antistante il palazzo comunale, ove era confluita, si può dire, quasi tutta la città. Questo era l’esordio del suo sermone: “Gli angeli, gli uomini, i demoni”. Parlò con tanta chiarezza e proprietà di queste tre specie di creature razionali, che molte persone dotte, che l’ascoltavano, furono piene di ammirazione per quel discorso di un uomo illetterato. E tuttavia non aveva stile di uno che predicasse ma di conversazione. In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace. Portava un abito dimesso; la persona era spregevole, la faccia senza bellezza. Eppure, Dio conferì alle sue parole tale efficacia, che molte famiglie signorili, tra le quali il furore irriducibile di inveterate inimicizie era divampato fino allo spargimento di tanto sangue, erano piegate a consigli di pace».
Appare chiaro che il saluto e le conversazioni di Francesco avevano qualcosa di straordinario tanto da piegare la gente a far pace. Quasi una costrizione, tanto forti dovevano essere quelle parole e quelle testimonianze.
Potremmo e dovremmo dire tante altre cose sul tema della pace e forse lo faremo in futuro, ma qui mi preme sottolineare che il saluto di pace sta alla ricezione del saluto di Pace del Risorto come il saluto di Maria ad Elisabetta sta alla ricezione del saluto dell’angelo. Come Maria, diventata Arca di Dio alla ricezione del saluto dell’angelo che le rivela la sua maternità divina, non può non andare a condividere tale salutazione con Elisabetta portando ad essa la gioia messianica, così ogni francescano, abitato e trasformato dal Risorto, non può non andare per il mondo portando a tutti il Cristo e la sua Pace. È conseguenza diretta e necessaria, anzi esplicativa di una effettiva trasformazione interiore ed esteriore derivante dal proprio “Eccomi” all’opera di Dio nella propria vita, della propria sottomissione e dall’accoglimento della Signoria di Cristo nella propria esistenza.
Ogni relazione interumana e intercreaturale del francescano, come anche la sua relazionalità con Dio, hanno sempre come tema la pace che vuol dire vita da salvato e annuncio della salvezza.
La diffusione del regno di Dio è commisurata alla diffusione della pace messianica. Per cui ogni seguace di Francesco ed ogni cristiano, non possono dimenticare questo operare e non può contentarsi di tradurlo solo in verbosità come a volte potrebbe accadere. Guai a fermarsi alle parole. L’esempio di come si opera la Pace non può essere che quello che ci ha lasciato Gesù, il quale per annunciare/operare la pace ha sacrificato la propria vita: «In Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini.» (Fil 2,13-17)
fra’ Saverio Benenati