Il Signore per mezzo di Francesco ci consegna un altro dono da custodire e far fruttificare nel nostro oggi: il Vangelo come mezzo per poter realizzare la nostra con-formazione a Cristo, nella Chiesa e con la Chiesa.
Nella scorsa riflessione sul Testamento di san Francesco mi sono soffermato sul quarto dono che riceve dal Signore, i fratelli. Il quinto dono, oggetto di questa riflessione, è “la forma di vita” secondo il santo Vangelo. In verità, come abbiamo già sottolineato, sono proprio i fratelli in un certo senso la causa di questo ulteriore passo in avanti della vocazione di Francesco. Come sempre, Dio per rivelarsi si serve di angeli-messaggeri che nel caso di Francesco sono i primi frati che il Signore gli donò. Grazie ad essi, Francesco, che fino a quel momento concepiva la sua vocazione come personale e unica, di tipo eremitica o quasi, scopre invece che la sua vocazione e la sua missione nella Chiesa e nel mondo sono da condividere.
Tale scoperta non è frutto di un “incidente di percorso” o di una elaborazione e progettazione del tutto personale circa il suo futuro e di quello dei fratelli a lui donati dal Signore, ma di un profondo confronto con la Parola di Dio e di un discernimento affidato alla santa madre Chiesa Cattolica:
E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stessoAltissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.
Testamento; FF 116
Non pretendo di poter esaurire in poche righe la vastità dell’argomento e le sue notevoli implicazioni su cui sono stati scritti numerosi testi spirituali e formativi. Cercherò semplicemente di attualizzare, nel suo dinamismo, questo dono che Francesco ci tiene a condividere, anzi a consegnare a tutti coloro che ne vogliono seguire le orme, anche nell’oggi della nostra epoca per noi del Movimento Giovanile Francescano.
È, a mio parere, molto interessante il non-detto da parte di Francesco: se a un certo punto del suo cammino vocazionale egli scopre che deve vivere secondo la forma del santo Vangelo, secondo quale forma di vita ha vissuto fino a questo momento? E badiamo bene, già Francesco ha abbandonato la casa paterna, ha già scelto la povertà e il servizio ai lebbrosi, ha già ricevuto il mandato missionario da parte del Signore nella chiesetta di san Damiano…
Scopriamo così che si può scegliere di vivere al servizio del Signore e dei poveri, senza però lasciarci guidare e trasformare dal Vangelo. Com’è possibile? Lo dice anche Gesù ad uno scriba in un famoso episodio del Vangelo secondo Marco (cfr Mc 12,28-34). Alla domanda da parte dello scriba su quale fosse il comandamento più grande, Gesù risponde enunciando il comandamento dell’amore verso Dio e il comandamento dell’amore verso il prossimo. Lo scriba conferma la verità e la bontà della risposta di Gesù, rimarcando che l’amore per Dio e per il prossimo è superiore a qualunque olocausto e sacrificio. Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: “Non sei lontano dal regno di Dio”. Non sei lontano, ma non ci sei neanche dentro, non lo possiedi e non ne sei posseduto… Perché? Perché, ancora una volta, Gesù ci ricorda che il Regno di Dio non è questione di fare questo o quell’altro, per quanto sia santo, corrispondente al più grande dei comandamenti. Il Regno di Dio è un dono che riceviamo da Dio frutto non tanto del nostro amore per lui e in lui per i fratelli, bensì del suo amore per noi. Inoltre, il metro di misura dell’amore chi lo stabilisce? L’uomo o Dio? Gesù dichiarerà alla fine della sua missione: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12). Si può dunque correre il rischio di amare Dio e il prossimo non come Gesù ma come noi stessi, con il nostro carattere limitato, con i nostri metri umani di misura dell’amore. Spesso si sente dire che per essere buoni cristiani basta fare del bene… Buona cosa è fare il bene, ma non occorre essere o definirsi cristiani per questo! Certo, fare il bene è buona cosa ma è, diremmo, una legge naturale, inscritta nel cuore dell’uomo da parte del suo Creatore. Nel cap. 25 del Vangelo di Matteo, in quella solenne immagine del padrone che separa le pecore dalle capre e in cui vengono elencate le opere di misericordia corporale dalla cui attuazione dipende la partecipazione o meno alla gloria di Dio, non viene richiesta l’adesione a Cristo. Il giudizio che viene lì espresso nei confronti di tutti i popoli – quindi non solo su Israele e i cristiani, ma con essi anche i pagani – si basa sulla capacità tutta umana di saper amare. Le opere di misericordia corporale riguardano appunto il corpo, la nostra umanità fisica. Non bisogna essere credenti per essere umani! Il nostro essere umani, il non tradire la nostra umanità, non ci fa per questo cristiani. Il cristianesimo è portatore in sé di un umanesimo conforme al progetto originario di Dio sull’uomo, ma non è detto che un retto umanesimo ci renda di per sé cristiani. Il primo ha il suo naturale sbocco nel secondo, ma solo nella misura in cui si sceglie di aderire a Cristo per mezzo della Fede in lui che, come dicono i Padri della Chiesa, si è fatto uomo perché l’uomo fosse divinizzato, si realizzasse il mirabile scambio in cui Dio si veste di umanità per rivestire l’uomo di Dio, “poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27).
Ecco ciò che a Francesco viene rivelato: deve rivestirsi dell’uomo nuovo (cfr Ef 4,24) e perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo (cfr Ef 4,13). Le fonti biografiche ci narrano con abbondanza di particolari questo momento rivelativo. Francesco, all’arrivo dei primi frati, viene preso alla sprovvista. Vogliono vivere come lui ha scelto di vivere, in povertà, penitenza e servizio agli ultimi. Ma Francesco non si ritiene affatto un modello da imitare. Lui sta seguendo una ispirazione che sa venire dal Signore. È il Signore che gli ha fatto cambiare rotta nella vita, convertendolo nell’incontro con il lebbroso. Ma il Signore non è una entità astratta, l’ha anche incontrato e lo incontra quotidianamente nelle chiese, nella Parola e nell’Eucaristia per mezzo dei sacerdoti. Quindi, fa l’unica cosa possibile: va in chiesa e interroga personalmente il Signore che gli si rivela nel libro dei Vangeli: «Francesco prese il libro dei Vangeli ancora chiuso e, inginocchiandosi davanti all’altare, lo aprì. E subito gli cadde sott’occhio il consiglio del Signore: Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi tutti i tuoi beni e distribuiscili ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo. Francesco, dopo aver letto il passo, ne fu molto felice e rese grazie a Dio. Ma, vero adoratore della Trinità, volle l’appoggio di tre testimoni; per cui aprì il libro una seconda e una terza volta. Nella seconda, incontrò quella raccomandazione: Non portate nulla nei vostri viaggi ecc.; e nella terza: Chi vuole seguirmi, rinunzi a se stesso ecc. Ad ogni apertura del libro, Francesco rendeva grazie a Dio, che approvava l’ideale da lui lungamente vagheggiato. Alla terza conferma che gli fu mostrata, disse a Bernardo e Pietro: “Fratelli, ecco la vita e la regola nostra, e di tutti quelli che vorranno unirsi a noi. Andate dunque e fate quanto avete udito”» (FF 1431).
I tre passi che costituiranno la base radicalmente evangelica della regola di vita francescana – che Francesco definirà “forma di vita”, intendendola quasi fosse uno stampo su cui modellare la propria vita – riguardano il discepolato cristiano, il cui obiettivo ultimo, come sappiamo, è la con-formazione al Maestro: “Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato [= formato], sarà come il suo maestro” (Lc 6,40).
Francesco, dunque, scopre che bisogna non solo essere umani, ma anche e soprattutto cristiani, cioè discepoli di Cristo fino a conformarsi in tutto a Lui. E questa conformazione umana e spirituale Francesco la raggiungerà nel monte de La Verna quando ormai pienamente unito spiritualmente al Maestro riceve anche nella carne il sigillo di tale conformazione nel dono delle stimmate.
Ma dobbiamo fare un passo in avanti. Come dice l’apostolo Pietro, nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione (2Pt 1,20). E Francesco non vuole correre il rischio di discernere, pensare e fare di testa propria. Il Vangelo non è sua proprietà personale, ma è un dono custodito e autenticamente interpretato dalla Madre Chiesa. Perciò ha bisogno che la Chiesa confermi tale ispirazione evangelica. Ecco perché la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò. Qualunque ispirazione e qualunque intenzione di vita, anche se hanno a fondamento la Parola di Dio, vanno sottoposte sempre a discernimento nella Chiesa e con la Chiesa. Lo abbiamo già spiegato in altre occasioni: l’opera del discernimento ha bisogno del confronto (= mettersi di fronte), come il ventilabro che per separare il grano dalla pula ha bisogno che venga tenuto e sollevato da due mani: una è quella di Dio e l’altra quella della Chiesa. Il rischio, come qualche volta si scorge in talune decisioni, è che ci si arroghi per esempio dei doni e dei carismi che gli altri non vedono affatto. Bisogna che sempre qualcuno ci aiuti a discernere ciò che viene da Dio da ciò che viene da noi, le ispirazioni (che vengono dallo Spirito) dalle seduzioni (che vengono dal demonio). E chi, più della Chiesa nella persona dello stesso Pastore e Guida visibile, il Papa, può operare questo discernimento per un qualcosa che a poco a poco rappresenterà una vera rivoluzione nella Chiesa stessa? Francesco viene chiamato a rivivere e a ricostruire con il suo esempio l’originario disegno di Gesù per la sua Chiesa, cioè il discepolato-missionario. A noi può sembrare qualcosa di scontato, ma non lo era ai tempi di Francesco e, ahimé, non lo è ancora oggi se Papa Francesco in tutta l’Evangelii Gaudium richiama ripetutamente i credenti a riappropriarsi della loro natura cristiana di discepoli missionari, di assumerne la mentalità e gli atteggiamenti: «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario… Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo convinti, guardiamo ai primi discepoli…» (n. 120).
Sintetizzando, possiamo affermare che il Signore per mezzo di Francesco ci consegna un altro dono da custodire e far fruttificare nel nostro oggi: il Vangelo come mezzo per poter realizzare la nostra con-formazione a Cristo, nella Chiesa e con la Chiesa. Assumere il discepolato di Cristo, nell’ascolto obbediente del suo Vangelo, per assumere gli stessi sentimenti e atteggiamenti di compassione e di misericordia del Cristo, e allo stesso tempo la missionarietà per formare altri discepoli-missionari. Tutto ruota attorno al Vangelo e all’interno di una comunità di discepoli-missionari che è la Chiesa. Appunto come la ruota: ha bisogno di un asse centrale – il Vangelo – e di un oggetto circolare ad esso legato in maniera equidistante dai raggi – comunione ecclesiale – perché possa muoversi nelle strade del mondo.
fra’ Saverio Benenati