Nel silenzio totale dei media internazionali, in Nicaragua si sta consumando una dura repressione della comunità cristiana.
Il dittatore del Nicaragua Daniel Ortega e sua moglie, suo vice, Rosario Murillo, sono i principali istigatori dell’odio contro la Chiesa in Nicaragua e coloro che hanno ordinato tutte le azioni repressive contro le istituzioni religiose del paese centroamericano, coinvolgendo diverse istituzioni statali. Pertanto, sono i principali autori di “crimini contro l’umanità” contro la religione cristiana.
Questa, in estrema sintesi, la conclusione dell’ultimo rapporto del Gruppo di esperti sui diritti umani in Nicaragua (Ghren), delle Nazioni Unite, reso pubblico il 22 luglio scorso, ma di cui non si è avuta alcuna eco nei media occidentali.
Così, approfittando di questo silenzio comunicativo e dei leader internazionali, in meno di 48 ore, tra l’1 ed il 2 agosto, sono stati rapiti altri 11 tra sacerdoti e diaconi della diocesi di Matagalpa il cui il vescovo, Monsignor Rolando Álvarez, è stato condannato a 26 anni di carcere per “fake news e tradimento della patria”. A lui come agli altri tantissimi preti arrestati il dittatore non perdona di essersi schierati dalla parte del popolo durante la brutale repressione scatenata dalla polizia e dai paramilitari sandinisti in seguito alle proteste dell’aprile del 2018 dopo un aumento delle tasse sul lavoro e dei contributi pensionistici deciso da Ortega (tra 360 e 550 i morti, in gran parte giovani studenti).
Nelle chiese del Nicaragua non ci sono quasi più preti per celebrare la messa. La mancanza forzata di parroci ha colpito tutte le parrocchie e in quelle di Nueva Segovia, Madriz ed Estelí già da tempo le funzioni sono celebrate oramai solo quelle domenicali, tutte sotto l’occhio vigile della polizia. Per “terrorismo”, due anni fa le suore di Madre Teresa sono state espulse e costrette ad attraversare a piedi il confine con il Costa Rica.
Dal 2018, il governo ha ordinato la chiusura di 420 organizzazioni cristiane, colpendo in modo particolare la Caritas, che è stata recentemente rimossa dalla diocesi di Matagalpa e da quella di Granada. A metà agosto, inoltre, con un unico atto, sono state chiuse e i beni incamerati dallo Stato ben 1500 Ong, in buona parte di matrice cristiana, portando così il numero complessivo delle organizzazioni chiuse dal regime a circa 5200. L’accanimento contro le istituzioni religiose ha portato anche alla chiusura di almeno 22 media religiosi e di cui sono stati confiscati i beni, tra cui Radio Maria, la cui ultima trasmissione è andata in onda lo scorso 9 luglio. Queste azioni indicano il chiaro tentativo di silenziare la voce della Chiesa e impedire che essa possa svolgere il suo ruolo di guida spirituale e sociale.
Rientra in questo obiettivo di silenziamento della Chiesa anche la chiusura, lo scorso anno, dell’Università Centroamericana di Managua, la Uca, una istituzione accademica di proprietà della Compagnia di Gesù, e la conseguente confisca di tutti i suoi beni mobili e immobili. A giudizio della coppia dittatoriale, l’Università sarebbe stata «un nido di criminali e terroristi», colpevole di essersi posta al fianco degli studenti universitari che nell’aprile del 2018 si erano sollevati per protesta contro il regime. Una ribellione civile e pacifica repressa nel sangue.
La persecuzione sistematica del governo Ortega contro la Chiesa cattolica, ma di recente anche contro le chiese evangeliche, i cui pastori hanno iniziato a far sentire anche la loro voce denunciando la sofferenza della popolazione, riflette una strategia più ampia di repressione contro qualsiasi forma di dissenso. Il governo ha cercato di controllare e soffocare tutte le istituzioni che potrebbero rappresentare una minaccia al suo potere, particolarmente la Chiesa cattolica, che storicamente ha svolto un ruolo cruciale nella difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Nicaragua. L’escalation di queste violenze e violazioni sottolinea la necessità di un intervento internazionale per proteggere la libertà religiosa e i diritti umani nel Paese.