La regola e vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo.
Nel 2021 si celebrano gli 800 anni dalla stesura della prima Regola francescana, più conosciuta come Regola non bollata, quella che cioè fu approvata solo verbalmente dal Sommo Pontefice. Non c’è perciò una data precisa in cui collocare storicamente la sua approvazione, ma siamo certi del processo che ha condotto alla sua stesura. Un processo a più mani, non solo quelle di Francesco d’Assisi, ma di quei frati che costituirono l’inizio della fraternità francescana e che, insieme, vollero mettere per iscritto la loro esperienza di vita.
Rileggere oggi, a distanza di 800 anni, quella Regola non corrisponde al posare lo sguardo su un pezzo da museo, bensì a ridare vita, un volto, a quella primordiale fraternità entusiasta dell’esperienza che stava vivendo in quel preciso momento, al suo modo di pregare, di testimoniare il Vangelo, di predicare, di accogliere i nuovi fratelli, al suo stile di vita povero, minore, al servizio degli ultimi. Leggendo quella Regola possiamo veramente riconoscervi non solo san Francesco bensì il volto del “vero frate minore” che, come le tessere di un mosaico, riunisce in sé «la fede di Bernardo, che la ebbe perfetta insieme con l’amore della povertà; la semplicità e la purità di Leone, che rifulse veramente di santissima purità, la cortesia di Angelo, che fu il primo cavaliere entrato nell’Ordine e fu adorno di ogni gentilezza e bontà, l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto; la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio fino alla più alta perfezione; la virtuosa incessante orazione di Rufino, che pregava anche dormendo e in qualunque occupazione aveva incessantemente lo spirito unito al Signore; la pazienza di Ginepro, che giunse a uno stato di pazienza perfetto con la rinunzia alla propria volontà e con l’ardente desiderio d’imitare Cristo seguendo la via della croce; la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, che a quel tempo sorpassò per vigoria tutti gli uomini; la carità di Ruggero, la cui vita e comportamento erano ardenti di amore, la santa inquietudine di Lucido, che, sempre all’erta, quasi non voleva dimorare in un luogo più di un mese, ma quando vi si stava affezionando, subito se ne allontanava, dicendo: Non abbiamo dimora stabile quaggiù, ma in cielo» (FF 1782).
Come hanno scritto congiuntamente per questo anniversario i Ministri Generali delle Famiglie Francescane, «ciò che colpisce, di quest’opera d’arte che è la Regola non bollata, è soprattutto l’indole appassionata. A leggerla, si capisce subito che non dà regolette per fare cose, ma cerca di delineare coordinate per vivere rapporti. Non è un testo per scribi, ma per discepoli (cfr. Mt 13,52)» (Vivere e Servire, 4 Ottobre 2020). Quella Regola fu scritta sulla base di una esperienza fatta di persone concrete che si erano così innamorate di Gesù fino al punto di abbandonare la loro vita passata, le proprie cose e le proprie relazioni, per formare una nuova famiglia in cui il Cristo era il loro tutto, il loro bene più prezioso e il fulcro delle loro relazioni.
Così, quella fraternità guidata da san Francesco inizia con le parole: «La Regola e vita dei frati è questa…». In questo testo c’è la “regola” e la “vita” dei frati, essa è cioè uno stile di vita sperimentato, ma anche in divenire, che si fa regola per chi lo vuole ugualmente abbracciare ed è il metro di misura della vita di un frate francescano e di tutta la fraternità francescana di ieri e di oggi. E abbiamo correttamente detto di uno stile di vita sperimentato ma anche “in divenire”. Proprio perché dietro lo scritto c’è l’esperienza di vita dei primi frati, Francesco per primo non ha preteso di scattarle una fotografia in un dato momento, appenderla ad un chiodo e farla diventare modello immutabile per i posteri. Lui stesso riconosce anche al termine del suo pellegrinaggio terreno di aver ancora poco appreso e vissuto del Vangelo, esortando così i suoi frati: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore Iddio, perché finora abbiamo fatto poco o nessun profitto!» (FF 501), e ancora: «Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF1239). C’è un’esperienza in divenire che man mano allarga il mosaico fino a quel momento composto con quei primi tasselli. Perciò così scrive nelle ultime righe della sua lettera ad un Ministro: «Questo scritto tienilo con te, affinché sia meglio osservato, fino al capitolo di Pentecoste; là sarai presente con i tuoi frati. E queste e tutte le altre cose, che sono ancora poco chiare nella Regola, sarà vostra cura di completarle, con l’aiuto del Signore Iddio» (FF239).
Cosa vogliamo dire con questo discorso? Ciò che hanno inteso consegnarci Francesco e i suoi primi frati con questo scritto, che cioè tutto parte dall’amore per Gesù Cristo, dal volersi consegnare a lui in maniera incondizionata, per amare Cristo nei fratelli e amare i fratelli in Cristo. Se questa è la misura – la regola – e la vita del frate minore, allora tutto il resto è una conseguenza naturale, in cui ognuno non è chiamato ad essere un “campione” in ogni ambito, bensì a dare il massimo, il “tutto sé stesso” della propria specificità, dei propri doni e dei propri carismi, per far risplendere nella fraternità il volto di Cristo.
Perciò, a distanza di ottocento anni, a chi oggi si chiedesse se ha la vocazione alla vita francescana, cosa significa e cosa comporta essere francescani oggi, mi sento di rispondere, dando voce a quei primi frati, con altrettante domande: Quanto ami il Signore? Cosa sei disposto a lasciare per lui? Vuoi vivere il Vangelo fino in fondo insieme ai fratelli che il Signore ti darà? Poiché «La regola e vita dei frati è questa, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dice: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e poi vieni e seguimi”, e: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”; e ancora: “Se qualcuno vuole venire a me e non odia il padre, la madre, la moglie e i figli, i fratelli e le sorelle e anche la sua vita stessa non può essere mio discepolo”. E: “Chiunque avrà lasciato il padre o la madre, i fratelli o le sorelle, la moglie o i figli, le case o i campi per amore mio, riceverà il centuplo e possederà la vita eterna”» (Regola non bollata, I).
Senza questo amore grande, radicale, unico per Cristo, ci sarà sempre qualcosa che risulterà pesante, difficile da accogliere o da praticare, e i fratelli si riveleranno un intralcio piuttosto che un dono – il centuplo promesso – per esprimere meglio il mio essere dono agli altri.
Questo, dunque, il binomio della vocazione francescana: “per amore” di Gesù e “in fraternità”. Tutto il resto – obbedienti, casti, espropriati, minori, umili, pacifici, benevoli, etc. – è conseguenza. Il dove, il come e con chi, è dono di grazia.
fra’ Saverio Benenati, ofm conv.