Tra 50 anni solo un italiano su quattro vivrà nelle regioni meridionali. Lo Svimez ha stimato in 1,7 milioni il numero degli emigrati dal sud-Italia. Un dato che deve interrogarci anche come Chiesa.
Tra 50 anni solo un italiano su quattro vivrà nelle regioni meridionali. Lo Svimez ha stimato in 1,7 milioni il numero degli emigrati dal sud-Italia. Un dato che deve interrogarci anche come Chiesa. La maggior parte giovani e con un alto livello di istruzione. «È un vero e proprio tsunami dalle conseguenze imprevedibili», scrivono gli analisti
Giovane, laureata e donna: è il profilo di chi negli ultimi 14 anni ha lasciato le regioni meridionali per andare a cercare fortuna altrove. Il Sud si sta svuotando. Dal 2001 al 2014 quasi 1 milione e 700mila persone sono emigrate dal Mezzogiorno. Poco meno della metà – 744mila – non sono più tornati. E tra questi ultimi che hanno scelto di vivere definitivamente altrove, 526mila sono giovani, il 40 per cento con un percorso universitario alle spalle. Un esodo ormai strutturale fotografato nell’ultimo dossier di Svimez, l’Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Il risultato è che il Sud negli ultimi 14 anni ha registrato un calo di popolazione di 196mila unità, mentre il Centro-Nord un aumento di 315mila. E nel futuro le cose peggioreranno: secondo le previsioni nel 2065 solo un italiano su quattro vivrà nelle regioni meridionali. Il Sud alla fine del prossimo cinquantennio, perderà infatti 4,2 milioni di abitanti, oltre un quinto della sua popolazione attuale. «Un vero e proprio tsunami dalle conseguenze imprevedibili», scrivono gli analisti di Svimez.
Colpa soprattutto del lavoro che non c’è. Negli ultimi sei anni su dieci nuovi disoccupati, sette sono stati al Sud. Il risultato è che solo un quarto di tutti gli occupati d’Italia si concentra nelle regioni meridionali: sono 5,8 milioni. Mai così pochi dal 1977. A non lavorare soprattutto i giovani: nel Mezzogiorno il 56 per cento di quelli compresi tra 15 e 24 anni. I laureati hanno un tasso di occupazione del 31,9 per cento. Fanno peggio i diplomati, con il 24,7 per cento. Dati che fanno sprofondare il Meridione nelle classifiche europee, peggio della Spagna e della Grecia, dove a tre anni dal titolo il tasso di occupazione di diplomati e laureati tra i 20 e i 34 anni è rispettivamente del 65 e del 44 per cento. La media nell’Unione europea è del 76 per cento.
Per l’Italia il confronto con l’Europa è impietoso anche se si prende in considerazione il numero di Neet (Not in education, employment or training), cioè quei giovani che non studiano, non lavorano né ci provano. Nel 2014 erano 3,5 milioni, aumentati del 25 per cento rispetto al 2008. Di questi, due milioni sono donne e due milioni sono meridionali. Anche nel resto d’Europa gli sfiduciati sono aumentati, ma di appena il 3 per cento negli ultimi sei anni. «La progressiva emarginazione dei giovani anche istruiti – si legge nel rapporto Svimez – dai processi produttivi determinata dalla crisi recessiva è confermata dalla dinamica crescente dei giovani Neet per essi, la difficoltà a trovare un’occupazione si accompagna ad un crescente scoraggiamento che li allontana non solo dal mercato del lavoro ma anche dal circuito dell’istruzione». Ma sul dato nazionale pesa come un macigno quello del Sud. Il resto del Paese, sottolineano gli analisti, viaggia tutto sommato in linea con l’Europa. Il Mezzogiorno corre veloce verso il baratro.