Tre cose di cui riappropriarci

I cattolici sono membri della Chiesa che ha compilato e riconosciuto le Scritture, la Chiesa dei grandi santi e martiri missionari, la Chiesa istituita da Cristo stesso e che ha ricevuto il mandato di evangelizzare tutti gli uomini. Eppure sono riconosciuti non per queste sue peculiari caratteristiche. Perché?

Se domani bussasse alla vostra porta o vi fermasse per strada una persona che si dichiara cristiana, che basa le proprie convinzioni sulla Bibbia e vuole condividere Gesù con gli altri, che tipo di persona vi verrebbe in mente? Se vi viene in mente un protestante evangelico, allora siete messi male! Perché? Perché i cristiani cattolici sono membri della Chiesa che ha compilato e riconosciuto le Scritture, la Chiesa dei grandi santi e martiri missionari, la Chiesa istituita da Cristo stesso e che ha ricevuto il mandato di evangelizzare tutti gli uomini, eppure sono riconosciuti non per l’amore alle Scritture o l’evangelizzazione, bensì per le Messe, i Rosari e le processioni di santi. Com’è possibile?
 Siamo vissuti per lunghi secoli, quasi 1700 anni, in un contesto religioso pienamente sovrapponibile con la società civile, anzi le due realtà sono coincise fino al punto che non si poteva appartenere alla società civile e godere dei suoi diritti senza essere allo stesso tempo cristiani. Per cui, lungo il trascorre di questi quasi due millenni, se non in casi isolati nello spazio e nel tempo, non era affatto necessaria la distinzione tra cristiani e non. Pensiamo al nostro linguaggio dialettale meridionale che definisce la “persona” con il significativo termine di “cristianu/a”. Negli ultimi cinquecento anni circa, cioé a partire dalla riforma protestante, è invece invalsa la differenziazione tra cattolici e protestanti o luterani o valdesi o, nell’ultimo mezzo secolo, cristiani evangelici. I meccanismi di presa di distanza e di autoidentificazione sono stati tali che abbiamo messo da parte la qualifica di cristiani per definirci semplicemente cattolici. In un contesto cristianizzato fin dalla nascita, il kerygma delle origini – l’evangelizzazione – è stato interamente soppiantato dalla catechesi morale: “siccome sei cristiano, questa è la condotta che devi tenere…”. La Dottrina ha perciò preso il posto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture, dal cui ascolto nasce e si sviluppa la fede, divenendo un appannaggio esclusivo dei sacerdoti, dei Teologi e dei Predicatori della Dottrina.

Benedetta scristianizzazione dell’occidente se ciò ci costringe a fare i conti con la nostra identità fondamentale di cristiani! La Nuova Evangelizzazione, infatti, ci sta costringendo, in quanto cattolici, a fare i conti con ciò che ci appartiene e che abbiamo dato per scontato e messo da parte, anzi consegnato ad altri: l’essere cristiani, cioè discepoli di Cristo; l’essere fondati, nella fede e nella morale, sulla Parola di Dio; l’essere evangelizzatori per natura. Non che quello che ci qualifica come Cattolici – la fede nell’Eucaristia, il riconoscimento del ministero e dell’insegnamento morale del Papa e dei successori degli apostoli, la devozione mariana e dei santi, ecc. – sia secondario o è altra cosa o persino da mettere da parte. Anzi, la nostra qualifica cattolica, cioè universale, ha il suo fondamento proprio nella nostra identità cristiana fondata nella Parola di Dio. Ma riappropriarci della nostra identità di cristiani, innanzi tutto e soprattutto, è quanto mai necessario nell’attuale nostro contesto sociale, ateizzato e multietnico-religioso.

Non secondario, anche ai fini dell’evangelizzazione, ritornare a qualificarci e forse anche pretendere dagli altri di essere qualificati come cristiani sempre e comunque, piuttosto che come coloro che “vanno in chiesa”. Si, noi cristiani cattolici andiamo in chiesa per la liturgia e la formazione, ma siamo cristiani anche a casa, sul lavoro, nel tempo libero… sempre! Noi non siamo quelli che “vanno in chiesa”, siamo cristiani e perciò andiamo anche in chiesa.

Dobbiamo, pertanto, riappropriarci delle nostre tre caratteristiche fondamentali, sia nel modo di pensare che di parlare e di agire:

1) Il termine “cristiano”
Quante volte avete sentito i cattolici definirsi “cristiani” in una conversazione ordinaria? Questa crisi di identità è piuttosto grave. La Chiesa sa e insegna che solo in essa c’è la pienezza della fede cristiana. “Cattolicesimo”, del resto, è solo un altro nome per definire la religione cristiana. Se il cattolico segue la sua fede, è il cristiano nel senso più completo del termine. E se crediamo realmente in questa verità, allora dobbiamo riflettere questa certezza nel nostro modo di parlare. Non dico che dovremmo abbandonare il termine “cattolico”. La Chiesa sostiene che gli altri seguaci di Cristo, battezzati ma non cattolici, sono anch’essi giustamente definiti “cristiani” (Unitatis Redintegratio, 3), per cui abbiamo bisogno del termine “cattolico” per distinguerci. Ma allo stesso modo, dobbiamo definirci anche “cristiani” o, almeno, “cristiani cattolici”.

2) La Bibbia
La Bibbia insegna la dottrina cattolica, non quella protestante. Oggi molti protestanti si stanno accorgendo di come il Magistero della Chiesa Cattolica sia fondato esclusivamente sulla Scrittura e molti teologi e leader protestanti stanno passando-ritornando al cattolicesimo. La Chiesa Cattolica, fin dal Cenacolo di Gerusalemme, crede che la Bibbia sia la Parola di Dio, da ben prima dell’esistenza dei protestanti. Ed è proprio questo studio della Parola di Dio che ci ha portati alla dottrina cattolica.

Il problema, però, sta nelle “deviazioni” dalla Dottrina cattolica, per cui, il nostro vivere in modo deformato rispetto all’insegnamento della Chiesa la nostra vita morale, le nostre liturgie e devozioni (che talvolta, in alcuni contesti, rasentano l’idolatria e la superstizione), la nostra missione evangelizzatrice (che piuttosto che annunciare Cristo Vi è mai capitato udire da un parente o un amico che è passato dalla Chiesa cattolica agli evangelici o ai Testimoni di Geova affermare che questi sì che conoscono la Verità perché conoscono la Bibbia, poiché la leggono e la studiano attentamente? E così ci vanno giù di brutto sull’Eucaristia, la Vergine Maria, i santi, i sacramenti a forza di Bibbia in mano! E il cristiano cattolico che fa? Balbetta! Balbetta o persino ammutolisce perché magari non ha preso mai in mano la Bibbia o non ha mai fondato-confrontato biblicamente la catechesi e il Magistero che dichiara di seguire.

Riprendere in mano la Bibbia, studiarla, meditarla, pregarla, non solo ci aiuta a riqualificare il Magistero della Chiesa, non tanto come insegnamento del Papa o dei Vescovi, ma per quello che è, cioé insegnamento biblico!, ma anche ci aiuterà a viverlo meglio, in profondità e senza deviazioni popolari, parzialità o contestazioni che tanto male fanno a noi e a tutta la Chiesa.

3) Evangelizzazione
Evangelizzare è una missione che gli evangelici, i mormoni (avete presente quei tipi giovani, anglosassoni, in giacca e cravatta, con tanto di nome e cognome inciso su una targhetta appesa al taschino?) e i testimoni di Geova (che pure chiamiamo comunemente anche “evangelisti”!) si sforzano di compiere con assiduità. Noi cristiani cattolici ne siamo spesso infastiditi, ritenendo, comunque, che ognuno deve essere lasciato in pace in ciò in cui crede… In questo mondo moderno e pluralista, non vogliamo essere associati al tentativo permanente di imporre agli altri le nostre convinzioni, no?
Più o meno. “Imporre agli altri le nostre convinzioni” no, ma manifestarle con totale naturalezza sì. L’evangelizzazione è la missione fondamentale della Chiesa cattolica. Essa esiste per evangelizzare! Non ci credete? Leggete il Nuovo Testamento, il Catechismo o la Evangelii Nuntiandi o la Evangelii Gaudium.
Certo, non dobbiamo copiare tutti i metodi degli evangelici, dei mormoni e dei testimoni di Geova, ma noi cristiani cattolici dobbiamo credere che la nostra missione è quella di evangelizzare, di trasmettere la buona novella, di viverla, e dobbiamo essere schietti al riguardo. Siamo cattolici perché siamo chiamati a vivere e ad annunciare a tutti, universalmente, il Vangelo di Cristo! Tutto il mondo deve sapere esattamente cosa siamo. Se la gente non sa che la salvezza degli uomini, di tutti gli uomini di tutto il mondo, è la nostra missione, è del tutto disinformata su ciò che è la Chiesa cattolica. Se un cattolico non lo sa o non ci crede, neanche lui sa cosa significhi essere cattolico. L’evangelizzazione dovrebbe essere il fulcro della predicazione, delle nostre conversazioni e della vita quotidiana di tutti noi. Non possiamo concepire il cattolicesimo senza evangelizzazione. E non stiamo copiando l’evangelizzazione da altri o lo stiamo facendo perché i numeri si restringono e l’apostasia dilaga. Noi cattolici siamo usciti nel mondo per evangelizzare fin dalla Pentecoste. Abbiamo evangelizzato l’Impero Romano, abbiamo portato il Vangelo in Estremo Oriente. Siamo sempre stati evangelizzatori e dobbiamo esserlo nuovamente.
La “nuova evangelizzazione” inaugurata da Giovanni Paolo II e continuata da Benedetto XVI e da Francesco ha fatto molto per restituire la parola “evangelizzazione” al linguaggio quotidiano dei cattolici. E noi giovani MGF e del Disciples Project in particolare dovremmo esserne un faro di esempio anche all’interno delle nostre chiese particolari.

Quanto scritto sopra mi è stato suscitato da un articolo di Brantly Millegan pubblicato qualche mese fa su Aleteia.org. Ma voglio consigliarvi un’appassionante libro: “Roma dolce casa” dei coniugi Scott e Kimberly Hahn per le Edizioni Ares. Insieme ad essi, ex teologi protestanti, farete un avvincente viaggio verso il cattolicesimo, così come recita il sottotitolo, per riappropriarvi di ciò che vi appartiene. Un avvincente testimonianza che si legge d’un fiato, anche sotto l’ombrellone.

fra’ Saverio Benenati