C’è un vuoto nell’uomo che esige di essere riempito, come un buco nero che risucchia tutto ciò che gli sta intorno.
Viviamo in una società plasmata da una cultura che da trecento anni, lentamente ma inesorabilmente, ha tolto Dio dal cuore dell’uomo: Dio non esiste e, se mai esistesse, sarebbe cattivo poiché non si cura dell’uomo.
La conseguenza di questa operazione è che c’è un vuoto nell’uomo, uno spazio che va riempito. Anzi è il vuoto stesso che esige di suo di essere riempito, come un buco nero che risucchia tutto ciò che gli sta intorno. Si è passati da un Dio che riempie e rende sovrabbondante chi lo riceve – così infatti dice Gesù alla samaritana presso il pozzo: “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna” (Gv 4,14) – all’uomo mendicante ovvero avido che tenta inutilmente di colmare la sua sete. Siamo diventati degli accumulatori patologici, gente che ha bisogno non tanto e non solo di cose materiali da cui far dipendere il proprio presunto equilibrio psicologico, ma anche e soprattutto di affetto, di essere considerati, di essere accettati dal “gruppo”, di qualcosa o qualcuno su cui appoggiarsi salvaguardandosi dall’incertezza del domani. Tutto e tutti diventano il cibo con cui saziare il vuoto che ci si porta dentro. Avendo smarrito l’orizzonte della vita eterna in Dio, tutto diventa incerto, basato solo su sé stessi, sulle proprie capacità, sulle proprie sicurezze che ci si è costruite da soli accaparrando per sé stessi tutto il possibile. Le cose materiali, lo studio, il lavoro e persino le amicizie e gli affetti, sono beni strumentali alla nostra sicurezza per l’oggi e per il futuro.
Purtroppo, come un buco nero, il vuoto che ci portiamo dentro piuttosto che riempirsi, si va al contrario allargando sempre più. Più si possiede e più ancora si vuole accaparrare. Non si è mai soddisfatti, mai pienamente appagati di ciò che si ha. È così che falliscono tante belle esperienze, amicizie, affetti, matrimoni… Vivendo da insoddisfatti, con quel vuoto interiore che grida la sua fame e sete, si è sempre alla ricerca di altro, di qualcosa di migliore, di qualcosa/qualcuno che ci soddisfi veramente. La samaritana che incontra Gesù al pozzo, aveva avuto ben cinque matrimoni falliti alle spalle e stava con uno che non era neanche suo marito. Per questo Gesù le dice che il suo andirivieni al pozzo non la disseterà mai: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete” (Gv 4,14). Il problema non è tanto nel suo vuoto interiore, ma nel modo e con che cosa vuole riempirlo.
Sant’Agostino, uomo di grande intelligenza e cultura, che aveva tentato in tanti modi di riempire il suo vuoto interiore finché non approderà alla fede cristiana e sperimenterà l’amore di Dio, scrive nella sua celebre autobiografia: «Ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1). Sì, senza Dio la nostra vita non ha pace, è inquieta, instabile, insaziabile di cose, di persone e del loro affetto. Tendiamo a pianificare la nostra vita, ma la scopriamo sempre in disordine perché gli eventi e le persone non sono in nostro potere. Ci aggrappiamo alle cose, alle situazioni, alle persone, ma esse ci sfuggono sempre di mano. Al contrario, quasi per reazione all’impossibilità di controllare tutto e tutti, tendiamo ad imporci sugli altri, a metterci in mostra, ad ostentare sicurezze e capacità superiori, ma gli altri ben presto se ne infastidiscono e ci voltano le spalle, abbandonandoci nella solitudine dei piedistalli che ci siamo costruiti.
È questo quel vortice di “peccato” – pecca = mancanza, vuoto – in cui la nostra società, soprattutto i giovani, inconsapevolmente, è risucchiata. Ha tolto Dio lasciando un vuoto incolmabile nell’uomo, abbandonandolo in balìa di sé stesso e dei propri limiti, della sua instabilità e precarietà.
Gesù ha detto che lo Spirito Santo che vuole donarci, convincerà chi lo riceve riguardo il peccato (cfr Gv 16,8-15), al fatto di non aver creduto all’amore gratuito e infinito di Dio che solo può riempire il cuore dell’uomo e dargli una gioia piena (Gv 16,24), una gioia totale e totalizzante.
Scrive l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera: «Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto» (1Gv 3,6). Sì, chi fa esperienza dell’amore di Dio, di quel Dio che ci ha tanto amati da dare la sua vita per noi, di quel Dio che non chiede ma dona con larghezza infinita, “non pecca”, cioè non è manchevole, non è affamato di cose o persone, non è mendicante di attenzioni, di affetti, di gratificazioni. Non è alla spasmodica ricerca di qualcosa o qualcuno che lo faccia sentire al sicuro, appagato, sazio. Non accumula avidamente e ossessivamente per riempire il vuoto che lo abita, perché Dio è il suo “tutto”.
Francesco d’Assisi sperimentò il Tutto di Dio quando «il Signore lo visitò e n’ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza, che non poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità, che lo estraniava da ogni sensazione, così che non avrebbe potuto muoversi da quel posto, anche se lo avessero fatto a pezzi» (FF 1402). Da quel momento “smise di adorare se stesso” (FF 1403), smise di inseguire le sue ambizioni di gloria, cessò la sua sete di successo e di potere, frutto del vuoto che lo abitava. Fu l’inizio di un cambiamento radicale di vita, del modo di relazionarsi con le cose, con le persone, con la realtà che lo circondava. L’inizio di una guarigione del cuore che lo rese l’uomo più pacifico e gioioso che la storia ricordi.
È di questa guarigione ovvero pacificazione del cuore che tutti abbiamo bisogno e la possiamo ottenere da Gesù che ce la vuole dare – “abbiate pace in me” (Gv 16,33) – se solo gli permettiamo di riempire il nostro cuore con il suo amore. Chiediamoglielo e l’otterremo.