Il Progetto Discepoli ha un obiettivo ben definito che non può essere dirottato, ma perseguito e vissuto fino in fondo. Se così non fosse, allora sarebbe un’altra cosa.
Un giovane frate si decise un giorno a fare un pellegrinaggio a Roma, per riconfermare presso la tomba di San Pietro la propria fede cattolica e rinnovare il proprio impegno ad essere un sincero discepolo e apostolo di Cristo. Nella maestosa basilica vaticana c’era già stato tante volte, ma sempre accodandosi ai numerosi pellegrinaggi offerti dai tour-operator, insieme ad altri preti e seminaristi oppure con i propri parrocchiani e collaboratori laici.
Andare a Roma da solo era un’iniziativa che andava fuori dai soliti schemi, suoi e di tutta la gente che conosceva. In tanti – confratelli e laici – appresa la notizia, si erano proposti di accompagnarlo nel viaggio, ma ognuno aveva delle proposte per renderlo “più interessante”. Qualcuno suggeriva di prendersela un po’ comoda, approfittando del viaggio a Roma per visitare le vestigia della capitale. A questi il giovane prete rispose: Io vado a San Pietro per riconfermare la mia fede e la mia vocazione! Altri si proposero di accodarsi, magari raggiungendo la città eterna a tappe: prima a S. Giovanni Rotondo, poi una sosta a Napoli – Hai mai visto la costiera amalfitana? E il santuario di Pompei?… -. Anche a questi il giovane frate rispose: Io vado a Roma per riconfermare la mia fede e la mia vocazione presso la tomba di San Pietro! Altri ancora proponevano di fare una capatina a Firenze, però dopo il pellegrinaggio a Roma. Ma anche a questi il frate rispose: Io vado a Roma a riconfermare la mia fede e la mia vocazione!
Fu così che alla fine il giovane frate si ritrovò da solo a compiere il sospirato pellegrinaggio. Tutti gli aspiranti compagni di viaggio, ad uno ad uno, si erano defilati accampando la scusa che a Roma c’erano già stati e che in un prossimo futuro, se si fosse presentata l’occasione, avrebbero approfittato dei soliti variegati pacchetti preconfezionati, abbondantemente offerti dalle agenzie di viaggio.
Arrivato a Roma in aereo, salì sul treno che lo portò alla stazione centrale da dove prese la metro per scendere alla fermata più vicina al Vaticano, stando ai cartelli all’interno del vagone su cui era salito, stipato come una latta di sardine sotto sale di vocianti turisti, preti e suore di tutte le nazionalità. Uscito dai sotterranei romani si ritrovò in una piazza a lui sconosciuta. In Vaticano c’era già stato, ma i pullman dei viaggi organizzati l’avevano sempre fatto scendere a ridosso del maestoso colonnato del Bernini. Adesso doveva orientarsi da solo in una città che gli appariva nuova e sconosciuta. Così si decise a chiedere indicazioni per raggiungere Piazza San Pietro dirigendosi decisamente verso un vigile urbano che, madido di sudore, dirigeva il caotico traffico automobilistico del mattino. “Scusi, – esordì imbarazzato il giovane frate – mi sa indicare la strada per raggiungere Piazza San Pietro?”. Sbuffando e anche un po’ infastidito, il vigile sciorinò un percorso fatto di vie, incroci e traverse da riempire la pagina di un block-notes: “Vada a destra e prosegua fino al semaforo. Poi svolti a sinistra e dopo il primo incrocio giri di nuovo a sinistra. Si troverà in una via stretta. La percorra fino al semaforo e poi svolti a destra…”. E così via per circa cinque minuti! A occhio e croce, senza conoscere affatto il percorso indicato, si trattava di almeno un paio di chilometri di vie e viuzze, se non di più! Eppure sentiva dentro che non doveva essere così lontana la méta. Così, con la semplicità disarmante di un bambino, il giovane frate esclamò: “Ma io sono a piedi!”. E il vigile urbano, con nonchalance, rispose: “Allora vada dritto sulla strada di fronte a lei. A cento metri c’è la piazza che cerca!”.
Questa storiella la considero la parabola del Progetto Discepoli e di quella che considero la mia personale vocazione e missione nella Chiesa di frate minore conventuale e sacerdote.
Le origini del Progetto Discepoli, in quanto progetto per la Nuova Evangelizzazione dei giovani, devono farsi risalire a metà degli anni ’90 del secolo scorso quando, di comunità nel convento di Noto, dirigevo un ben avviato oratorio con centinaia di ragazzi, adolescenti, giovani e giovani adulti. Già in quel tempo, ricco di soddisfazioni umane ed apostoliche, il Signore lanciò la sua sfida: a che serve avere l’oratorio e la chiesa piena di giovani – spesso litigiosi, altre volte annoiati e spenti, tutti infarciti della mentalità del mondo – se nel frattempo migliaia di giovani passeggiano dinanzi alle porte della chiesa indifferenti a Me e al mio Amore?
Eppure in quel tempo mettevo puntualmente a frutto tutti i suggerimenti e gli strumenti utili ad una efficace Pastorale Giovanile derivanti dall’esperienza della Chiesa post-conciliare, sia nel campo oratoriale che associazionistico, e dall’esperienza consolidata dell’associazionismo francescano. Non mi lasciavo perdere neanche le ultime novità e sperimentazioni provenienti da vari ambiti, soprattutto diocesani.
Non occorreva far altro che seguire le linee indicate da ricerche, sussidi e manuali e il “gioco” era fatto. Se qualcosa andava storto, se i frutti tardavano ad arrivare, la responsabilità era del direttore dell’oratorio o degli animatori ovvero – non ultima istanza – dalle nuove generazioni tirate per la maglietta da una società avviata inesorabilmente verso la scristianizzazione. Ricordo i tempi in cui ogni anno ci si inventava qualcosa di nuovo per tenersi stretti i giovani e avvicinarne di nuovi: coro, teatro, musica, giochi, grest, campi-scuola, giornate di festa, ritiri, danza, attività sportive di vario genere e così via. Sono stati tempi bellissimi sotto tutti i punti di vista, nonostante gli inevitabili problemi e le preoccupazioni del lavorare pastoralmente per e con i giovani. Ma in fondo era un copia-e-incolla di metodologie già sperimentate da altri o da continuare come da tradizione (nel nostro ambiente francescano si suole definirle “cose che ci appartengono”); anche l’empasse faceva parte del pacchetto preconfezionato. Un po’ come ancora oggi ogni parroco sa e mette in contro che i suoi ragazzi, nonostante le sue tante fatiche e tutte le più belle iniziative catechetiche e oratoriali, ricevuta la cresima non li rivedrà più…
Iniziare percorsi nuovi, rompendo con gli schemi comuni o con le “cose che ci appartengono”, fa un po’ paura a tutti – rischi di camminare da solo! – e inevitabilmente ti sottopone a giudizi di condanna inappellabili (come quelli subiti da quella rana che un giorno volle uscire dal pozzo dove la sua colonia aveva da sempre vissuto, per esplorare il mondo esterno….) e devi imparare a districarti tra le mille tentazioni – ispirate dalle più nobili e sante intenzioni – di addivenire a qualche compromesso. I compromessi, inoltre, sono spesso ammantati dalle belle vesti della carità fraterna, del non lasciare nessuno indietro, della pazienza se il tempo di percorrenza del tragitto si allunga un po’, se alla méta prefissata aggiungi qualcos’altro… Ma il rischio è quello di perdere solo del tempo e di fare della méta “Andare a Roma” solo una tappa di un percorso più grande e più lungo, che alla fine svalorizza la mèta stessa.
Allora bisogna continuamente ricordare a se stessi e a chi vuole farsi tuo compagno di viaggio quale è l’obiettivo verso cui orientare e spendere tutte le energie e risorse. C’è nel vangelo lucano un liet-motiv che mi ha sempre affascinato. L’evangelista, infatti, ha costruito il suo Vangelo come un unico lungo viaggio di Gesù verso Gerusalemme, tanto che più volte ripete – come un ritornello – che Gesù era diretto decisamente, con i suoi discepoli, verso Gerusalemme (cfr. Lc 9,51; 13,22; 17,11; ecc.). Nel Vangelo secondo Giovanni, invece, al cap. 6 troviamo una delle espressioni più dure e, a mio parere, più significative del messaggio evangelico: concluso il discorso del Pane di Vita in cui Gesù è ben determinato a far comprendere la necessità e la concretezza del nutrirsi fisicamente e materialmente della sua Carne e del suo Sangue, premessa indispensabile per avere la vita eterna, l’evangelista fa notare che da quel momento molti discepoli – non i farisei o gli scribi o i sadducei! – lo abbandonarono. Lungi dal tentare una conciliazione fra diverse vedute e interpretazioni del suo messaggio, Gesù si volta verso i dodici che ancora gli stanno attorno e li sfida: Volete andarvene anche voi? (Cfr Gv 6,66-67) Ogni compromesso avrebbe svalorizzato il significato e la portata del suo messaggio e di quanto di lì a poco si sarebbe compiuto.
La Nuova Evangelizzazione, di cui è strumento il nostro Progetto Discepoli, è “nuova – come specificò il B. Giovanni Paolo II – nei mezzi, nell’ardore, nelle espressioni” ma il suo contenuto rimane l’immutabile Vangelo di Cristo. Riprendendo, dunque, la nostra parabola iniziale, possiamo arrivare a San Pietro con il treno o la nave piuttosto che con l’aereo; possiamo lasciarci guidare da una mappa cartacea o da un bel navigatore hi-tech, ma mai e poi mai! si potrà percorrere la strada con l’atteggiamento spento di chi è senza speranza per il domani, soprattutto edulcorando o annacquando il Vangelo della Salvezza di Gesù il Cristo! In questo viaggio non c’è posto per chi vuole ammirare le indiscutibili bellezze paesaggistiche della costiera amalfitana o per chi vuole tuffarsi nostalgicamente nella storia e nell’arte passata. Quelli sono altri viaggi, che hanno un loro indiscutibile valore. Ma noi andiamo da Pietro a rinnovare la nostra fede e la nostra vocazione!
Qualcuno ti chiederà: cosa ci perdi a fare delle tappe intermedie? L’importante non è andare a Roma? Sì – rispondo io – ma così perdi il senso e l’ardore con cui affronti un viaggio che ha e non può non avere un obiettivo ben preciso: rinnovare la propria fede e la propria vocazione nella Chiesa.
Qualcun altro ti dirà: Ok! Prima si va a rinnovare la propria fede e la propria vocazione nella Chiesa, ma che importanza ha il dopo? Che problema c’è ad andare altrove, a valorizzare la storia e l’arte di una città come Firenze o Arezzo o una delle tante mete turistiche della nostra bella Italia? Perché ritornare subito e decisamente a casa? Perché – rispondo io – se hai percorso e gustato la via della Nuova Evangelizzazione ti si apriranno scenari nuovi, nuovi entusiasmi ti pervaderanno e, come San Paolo, senza alcun rigurgito nostalgico, non potrai non dire: Per Gesù ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo… dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. (Cfr Ef 3,8-14).
Ma le insidie al viaggio non si trovano solamente alla partenza, ce ne sono di più ingannevoli quando sei in prossimità della méta. Attorno ad essa, vigili, si aggirano personaggi che dovrebbero facilitarti nello scatto finale dell’incontro con Gesù ed invece stanno lì per complicarti la vita. Sono come quegli scribi e farisei ipocriti di cui Gesù dice: percorrete il mare e la terra per fare un solo prosèlito e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geènna due volte più di voi (Mt 23,15).
E se non ti hanno fatto smarrire la strada per arrivare a Gesù, ti fanno perdere l’entusiasmo del ritorno a casa – alla missione – dove poter vivere con rinnovato ardore e coerenza una vita da discepolo di Cristo e da intrepido evangelizzatore. In questo nostro viaggio che è il Progetto Discepoli non c’è posto per alcun vigile che pretende di dirigere il traffico a suo piacimento o secondo i propri schemi mentali, condizionando chi gli sta attorno. Una sola è la Via ed è – per dirla con San Francesco – il santo Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo, nostra forma di vita. O ci si lascia trasformare nella mente e nel cuore, nel pensare e nell’operare, dal Vangelo che è la stessa persona viva e operante di Gesù Cristo, oppure si è di intralcio!
Vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta di impurità. Ma voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (Ef 4,17-24).
Il Progetto Discepoli va a Roma, cioè ha una missione specifica: l’evangelizzazione. Questa missione non è un optional, ma è richiesta e confermata dal successore di Pietro il quale dichiara che “il mandato d’evangelizzare tutti gli uomini costituisce la missione essenziale della Chiesa”, essa “esiste per evangelizzare” (Evangelii Nuntiandi, 14); che “una evangelizzazione nuova nei metodi, nel fervore e nella sua espressione è necessaria nei paesi di più consolidata tradizione cristiana dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa” (Redemptoris Missio, 33) e che, non ultimo, “la missione universale coinvolge tutti, tutto e sempre. Il Vangelo non è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto, ma è un dono da condividere, una bella notizia da comunicare. E questo dono-impegno è affidato non soltanto ad alcuni, bensì a tutti i battezzati, i quali sono «stirpe eletta… gente santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pt 2,9), perché proclami le sue opere meravigliose” (Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2011).
Il Progetto Discepoli va a Roma. Non è una gita di piacere, ma un pellegrinaggio di fede che comporta un cambiamento radicale di mentalità. Sono bandite le divaricazioni, i compromessi e le perdite di tempo, girando inutilmente attorno all’obiettivo: ripartire da Cristo, centro, orientamento e fine della vita cristiana. E voi, cari fratelli e sorelle, dove volete andare?
fra’ Saverio Benenati