La pace che Gesù ci offre non sta nell’affannarci nel vano tentativo di salvarci con le nostre forze o con le nostre buone azioni, ma nel deporre la nostra vita nelle sue mani.
Dal Vangelo secondo Giovanni (14,27-31a)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».
Ad Auschwitz, nel campo di concentramento, c’era un carcere: il famigerato Blocco II. Là, in una cella sotterranea, san Massimiliano Kolbe è morto per una iniezione letale dopo una lunga e penosa agonia, attorniato da ogni tortura e miseria umana. Fuori c’era il cortile in cui circa ventimila uomini furono assassinati; di fianco, l’“ospedale” in cui si praticava la vivisezione su esseri umani, mentre, in fondo alla strada, si trovava il forno crematorio. Eppure, nel cuore di padre Massimiliano Kolbe regnava quella pace che Cristo aveva promesso di dare ai discepoli che, seguendo il suo esempio, sarebbero morti per la vita di altri.
San Tommaso More così pregava nella torre di Londra in cui fu carcerato: “La perdita dei beni temporali, degli amici, della libertà, della vita e di tutto il resto non è nulla se si guadagna Cristo”.