Sono forse io, Signore?

Come hai vissuto la quaresima, da turista o da pellegrino?

Dal Vangelo secondo Matteo (26,14-25)

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.

Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

 

 

 

Siamo arrivati all’ultimo giorno della Quaresima. Domani celebreremo, con l’inizio del sacro triduo, la Pasqua del Signore, la méta del nostro pellegrinaggio iniziato lo scorso Mercoledì delle Ceneri.

E se il nostro è stato un vero pellegrinaggio della fede, allora, come ogni pellegrino dovremmo aver scoperto che non la méta, bensì il viaggio stesso ci ha cambiati, trasformando la nostra mente (conversione) e il nostro cuore.

Sembra un paradosso, ma questa affermazione ci ricorda che la quaresima può essere vissuta da turisti o da pellegrini. Il turista ha una méta da raggiungere e da visitare e trae la sua soddisfazione proprio dalla méta stessa, vuoi che sia una città oppure un edificio storico o un museo. Il pellegrino, invece, sperimenta ben altri sentimenti una volta concluso il suo viaggio: scopre che non è il luogo santo a cambiarlo all’improvviso, ma di essere stato trasformato già lungo il viaggio. Allora fa festa, gioisce, perché ha da ringraziare soltanto. Il turista, al contrario, trae appagamento e ricompensa nell’obiettivo raggiunto.

 

 

Ecco, dunque, Giuda. Ha lasciato tutto come gli altri discepoli di Gesù, lo ha seguito, ha anche predicato insieme agli altri e forse ha anche compiuto prodigi nel nome di Gesù. Ma ha fatto tutto questo cammino di sequela al pari di un turista. Arrivato alla méta, cerca la ricompensa, un tornaconto di basso profilo economico. In Giuda non è cambiato nulla lungo quei tre anni di cammino con Gesù. Non si è lasciato trasformare né intende farlo adesso, dal momento che ha compreso bene che non ci sarà nulla da guadagnare da quest’ultima Pasqua di Gesù. Perciò, ha ormai deciso di fare da sé, di racimolare comunque la sua piccola personale ricompensa.

E così, se da una parte, al pari del Sommo Sacerdote, con il suo cattivo agire, si fa strumento dell’opera salvifica di Dio, dall’altra si esclude dai suoi benefici.

Anche noi, oggi, siamo arrivati al termine del nostro viaggio, la méta ci sta di fronte e «poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne, e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di Dio, accostiamoci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura» (Eb 10,19-22).