‘u crivu: la crisi è il momento in cui Dio ci prende per mano

La crisi e il discernimento sono il momento in cui il Signore ci prende nelle sue mani e compie la fatica di separare in noi il bene dal male che deturpa e schiavizza la nostra vita.

Il setaccio – in siciliano “crivu” – è uno strumento antichissimo, presente in tutte le popolazioni, il cui scopo è quello di separare le impurità presenti in un determinato prodotto dal prodotto stesso. Si usa, pertanto, per setacciare la farina o prodotti della terra più consistenti, come ad esempio i cereali. Ha forme, dimensioni e capacità diverse a seconda dell’uso che se ne vuol fare. Ma sempre ha bisogno di qualcuno che lo tenga con le mani che con gesti e colpi ritmici permetta al contenuto più fine di passare le maglie della rete che sta sul fondo. Il suo uso è tanto fondamentale, soprattutto per le materie-base dei prodotti destinati all’uso alimentare, che anche le moderne fabbriche alimentari non possono farne a meno, anche se tutto è proporzionalmente ingrandito e meccanizzato.

Forse molti non sanno che la parola “crivu” deriva dalla stessa radice che ha coniato altre parole che, perciò, hanno quasi lo stesso significato. Fra tutte, la parola “crisi” che, al pari di “crivu”, deriva dal greco “krino” che significa “separare”. Sì, le parole “crisi” e “crivu” hanno la stessa origine, poiché entrambi hanno a che fare con la “separazione”, la “divisione”, il “discernimento” (dis=due volte + cernere=separare [dal greco krinein]).

Ho fatto questa lunga introduzione per affrontare un argomento spinoso che coinvolge prima o poi tutti e, in particolare, i giovani. Si sente spesso dire, infatti, che molti giovani si allontanano dal gruppo e dalla comunità ecclesiale perché “sono in crisi”. Viceversa, tanti altri giovani, alla proposta di compiere un percorso di discernimento vocazionale, affermano di non averne assolutamente bisogno poiché sanno bene da soli quale è la propria vocazione.
In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una fuga. Nel primo caso, infatti, la crisi viene affrontata con la fuga da Dio e dai fratelli, nell’isolamento. Nel secondo caso, la prospettiva stessa di un periodo di crisi, cioè di discernimento, è temuta e fuggita in sé stessa. Perché? Forse perché l’idea stessa della “separazione”, soprattutto quando fa riferimento al nostro intimo, suscita paura per l’idea di sofferenza che ad essa associamo. Ed è vero: la divisione, la separazione, comporta un certo grado di sofferenza, poiché significa tagliare, rompere con qualcosa che fa parte di noi stessi, a cui siamo legati più o meno consapevolmente.
Mi viene in mente l’esperienza di discernimento che il Signore ha fatto compiere al popolo di Israele quando lo fece uscire dall’Egitto per condurlo verso la terra promessa. Quel discernimento si concretizzò nell’attraversamento del deserto. Un’esperienza lunga quarant’anni poiché il popolo eletto si rifiutava di affrontare la crisi, imparando così a vivere sotto la protezione del Signore piuttosto che essere soggetti ad altri padroni. Così più volte ci fu il tentativo di fuga all’indietro: meglio le cipolle di Egitto, meglio essere schiavi, ma coperti e nutriti dal “padrone”, piuttosto che liberi e dover faticare per mantenersi in vita. C’è un detto rabbinico che la dice lunga: Al Signore fu più facile togliere Israele dall’Egitto che togliere l’Egitto da Israele!

La fuga correlata alla crisi e al discernimento è sempre una fuga dalla sofferenza, dalla fatica e dall’insicurezza: meglio schiavi, ma sicuri nel nostro tran-tran quotidiano, che liberi e dover fare da noi stessi, giorno per giorno, senza sapere cosa ci riserverà il domani.
La crisi viene sempre a scombussolare (= perdere l’orientamento) delle nostre certezze e sicurezze. E nessuno vuole smarrirsi. Meglio andare avanti programmando e facendosi programmare tutto, ogni giorno e ogni cosa – dalla gestione degli affetti e delle cose a quella del tempo – piuttosto che ricercare continuamente il senso della propria vita e delle sue relazioni e operare costantemente delle scelte corrispondenti ai nostri obiettivi e ideali di vita.
Messa così, chi non sarebbe d’accordo? Una esistenza senza crisi né discernimento è una vita sicura, ovattata, dove niente ci sorprende, tutto rientra in uno schema fisso. Anche le novità rientrano nella “messa in sicurezza” della nostra vita; è calcolata e presto risucchiata dalla voragine del “già visto” o del “non ho tempo per pensare a queste cose”: the show must go on – lo spettacolo deve continuare.

Ritorniamo, dunque, al nostro “crivu”, questo caro strumento che ha molto da insegnarci sulla crisi e il discernimento. Le nostre nonne, ma non solo, sanno bene che questo strumento assolve al suo compito di separare non da sé stessi: non è il crivu a lavorare da sé, ma chi lo tiene in mano; non è sua la fatica, ma di chi lo scuote; non è esso a decidere quando il lavoro è terminato e ben fatto, ma l’occhio attento e sapiente del suo utilizzatore.
Dovremmo tutti invocare la sapienza del “crivu”, strumento docile e utile nelle mani della massaia, perché quando si presenta la crisi o ci viene proposto il discernimento, non tentiamo fughe inutili o perfino dannose.
Occorre avere la consapevolezza che la crisi e il discernimento sono il momento in cui il Signore ci prende nelle sue mani e compie la fatica (contro le nostre resistenze e chiusure) di separare in noi il bene, il vero nostro bene, dal male che deturpa e schiavizza la nostra vita. Con la crisi e il discernimento il Signore ci libera dalle dipendenze morali, affettive, psicologiche, sociali… ma solo nella misura in cui noi ci affidiamo con fiducia alle sue mani.
Non è mai, perciò, il tempo della fuga e dell’isolamento, ma il tempo più che mai opportuno per intensificare la preghiera e la comunione fraterna. È il tempo di rimettere tutto nelle mani di Dio. Noi siamo il crivu e il suo contenuto, che messi nelle mani di Dio, anche se turbati dagli scossoni, gli permettiamo di purificarci e di far affiorare quanto di buono e di bello c’è in noi.

Dalla crisi e dal discernimento si esce sempre migliori, più consapevoli di noi stessi, della nostra bellezza, delle nostre capacità, del progetto che Dio ha per ognuno di noi. Ma questo sarà possibile solo nella misura in cui non ci agitiamo e affliggiamo da soli, ma ci rimettiamo nella mani del Signore.
Gesù stesso si ritrovò a dover far fronte alla crisi e, in quanto uomo, sperimentò la tentazione della fuga: Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! (Mt 26,39). Però, come un crivu, si abbandonò alla volontà del Padre: egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5,7-9).
Sì, come a Gesù, la sofferenza della crisi, del dover decidere se fuggire o abbandonarsi al progetto di Dio, non ci verrà risparmiata, ma è proprio tale sofferenza che ci manifesta che siamo già nelle mani di Dio.

Concludo, perciò, con quel racconto che esprime abbastanza plasticamente il senso di questa mia riflessione, invitandovi, carissimi amici, a fidarvi sempre del nostro grande Dio che mai ci lascia soli, anche quando non ne percepiamo chiaramente la presenza.

“Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore
e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata.
E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme:
le mie e quelle del Signore.
Ma in alcuni tratti ho visto un sola orma.
Proprio nei giorni più difficili della mia vita.
Allora ho detto: “Signore, io ho scelto di vivere con te
e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me.
Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti difficili?
E lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che ti amo
e non ti ho abbandonato mai:
i giorni nei quali c’è soltanto un’orma nella sabbia
sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”.

fra’ Saverio Benenati