Ottocento anni or sono il Signore chiese a Francesco d’Assisi di ricostruire la sua casa che stava andando in rovina tra l’indolenza di chi, invece, era chiamato a custodirla ed allargarla. Un appello quanto mai urgente ed attuale per tutti noi discepoli francescani.
Tra le vicende narrate dalla Scrittura circa il ritorno del popolo di Israele dall’esilio babilonese al tempo del re Ciro, mi ha sempre colpito la prima pagina del libro del profeta Aggeo (Ag 1,1-8). Con il profeta Aggeo siamo al tempo di Dario, successore di Ciro, molti anni dopo che a pochi esiliati è stato permesso di tornare in patria. Appena arrivati a Gerusalemme innalzarono subito un altare a Dio, ma non ricostruirono il tempio. Passano gli anni e, mentre si diedero alla costruzione delle proprie comode case, non trovarono mai né il tempo né i mezzi per ricostruire la casa di Dio. E il Signore, per bocca del profeta Aggeo, se ne lamenta: “Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre la mia casa è ancora in rovina?”.
Ottocento anni or sono il Signore chiese a Francesco d’Assisi di ricostruire la sua casa che stava andando in rovina tra l’indolenza di chi, invece, era chiamato a custodirla ed allargarla. Ritengo che questo appello del Signore sia quanto mai attuale per tutti i fedeli cristiani e particolarmente per noi a cui è stata consegnata, per vocazione, l’eredità spirituale e missionaria francescana.
San Paolo nella sua lettera ai fedeli di Efeso scrive che il Signore “ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,11-13). Ciò significa che ogni carisma e ministero ci viene dato non per noi stessi, ma per gli altri, per contribuire, ognuno a suo modo, all’edificazione dell’abitazione di Dio che è la Chiesa.
È veramente triste constatare come non solo adulti e anziani ma anche tanti giovani che hanno affidato la propria vita a Gesù poi si curino soltanto di sé stessi e dei propri interessi sia materiali che spirituali. Quando si tratta dei nostri interessi siamo sempre impazienti, le cose non ci sembrano mai fatte in tempo e bene; gli interessi di Dio invece possono sempre aspettare. Per la televisione o internet, ad esempio, il tempo c’è sempre; anzi, grazie agli smartphone, restiamo connessi H24; ma non ce n’è altrettanto per cercare di restare connessi con Dio. Diciamo che abbiamo anche bisogno di distrarci un po’, di riposarci, ed è legittimo. Ma se guardiamo dentro noi stessi con sincerità, davanti al Signore, dobbiamo ammettere che sovente non è il bisogno di riposo a guidarci nelle scelte, ma l’amor proprio, l’egoismo, l’indolenza, l’accidia…
Ma c’è una insidia ancora più sottile in questo meccanismo egoistico che va a discapito della propria vocazione-missione: si tratta di quel falso sentimento religioso per cui viene detto che prima bisogna crescere e maturare nella fede personale e nella capacità di dare testimonianza ed evangelizzare e soltanto dopo dedicarsi alla missione, cioè agli altri.
Ci sono cristiani che te li ritrovi a tutte le Messe, a tutti gli incontri di preghiera e di formazione, a tutti i Corsi e Convegni… ma, appunto, stanno sempre lì, seduti nel proprio posto, a ingozzare la propria bulimia spirituale senza muovere un alluce verso gli altri. Conoscono magari tutta la Bibbia, la “posseggono” e proprio perché se ne sono impossessati non vogliono condividerla se non per ostentare il proprio sapere. Sanno tutto della storia della salvezza, per non parlare della dottrina della Chiesa, della vita dei santi, di rivelazioni e messaggini vari… ma non sono capaci di condividere la storia della propria personale salvezza!
Il Signore, per bocca di Aggeo, dopo il rimprovero, fa una constatazione: “Avete seminato molto, ma avete raccolto poco; avete mangiato, ma non da togliervi la fame; avete bevuto, ma non fino a inebriarvi; vi siete vestiti, ma non vi siete riscaldati; l’operaio ha avuto il salario, ma per metterlo in un sacchetto forato”. L’egoista o bulimico spirituale, si ingozza della conoscenza delle cose di Dio ma evita accuratamente di farne esperienza, cioè di assimilarle e trovare in esse la forza per dare testimonianza di Dio ed esercitare il ministero dell’edificazione del Corpo di Cristo mediante l’evangelizzazione. Al massimo vomita addosso agli altri un sapere che non ha per nulla il sapore di Dio, della sua misericordia, del suo amore, della sua compassione.
“Riflettete bene sul vostro comportamento!”, conclude il Signore per bocca di Aggeo. Sì, riflettiamo sul nostro comportamento, perché spesso il diavolo, colui che si frappone come ostacolo tra noi e il Signore, si annida soprattutto nei buoni sentimenti e nelle buone azioni anche religiose. Gli antichi dicevano che l’inferno è lastricato di buone intenzioni e tra queste dobbiamo annoverare anche il voler premettere la propria crescita spirituale alla missione fondamentale di ogni cristiano: annunciare Gesù Cristo. Gesù conosceva bene questa insidia e non ha atteso anni per inviare i suoi discepoli in missione, altrimenti non sarebbero mai partiti. Egli, invece, li ha formati alla missione facendogli fare esperienza di missione, inviandoli di città in città anche se ancora non avevano capito tutto e bene di Lui e dei misteri del Regno, e facendo loro imparare anche dagli errori e dai fallimenti. Tu, cosa stai aspettando?
fra’ Saverio Benenati