Parlare in pubblico

Sempre più giovani del Movimento vengono chiamati a tenere talk di vario genere: insegnamenti nella Scuola di Evangelizzazione, riflessioni all’interno di un Incontro HD o un Worship… fino a vere e proprie conferenze su argomenti inerenti la propria fede o esperienza di fede in comunità o, ancora, la propria specializzazione professionale. Ecco alcuni consigli utili per chi è chiamato a parlare in pubblico.

Sempre più giovani del Movimento vengono chiamati a tenere talk di vario genere: insegnamenti nella Scuola di Evangelizzazione, riflessioni all’interno di un Incontro HD o un Worship… fino a vere e proprie conferenze su argomenti inerenti la propria specializzazione professionale. Come riuscire ad acchiappare il pubblico senza farlo distrarre, annoiare o persino renderlo insensibile al nostro discorso?

Premettiamo che occorre subito sfatare il luogo comune che intende ogni discorso pubblico in ambito ecclesiale (omelie, conferenze, insegnamenti, etc.) come qualcosa che debba essere necessariamente piatto e noioso. Ciò dipende solo da chi è chiamato a parlare non certamente dal contenuto. L’equazione che vede l’alto valore del contenuto equiparato a discorsi altisonanti che volano sulle teste dell’uditorio è qualcosa che da tempo immemorabile allontana la gente dal Vangelo e a disertare ogni occasione buona per crescere nella fede e nella dottrina ecclesiale.

Già sant’Agostino si lamentava che ai suoi tempi coloro che portavano le persone all’errore erano più capaci di conquistarsi l’uditorio di quanti invece, pur possedendo la Verità, non erano capaci di comunicarla:

Chi oserebbe dire che la verità debba trovarsi inerme in chi la difende contro la menzogna? Voglio dire: perché mai coloro che cercano di persuadere delle falsità dovrebbero, con [forbiti] preamboli, rendersi l’uditore o benevolo o attento o docile e quegli altri non dovrebbero saperlo fare? Perché gli uni dovrebbero riuscire a narrare le falsità in forma succinta, chiara e verosimile, mentre coloro che narrano la verità dovrebbero farlo in modo che l’uditore si annoi, l’argomento proposto resti incomprensibile e, finalmente, sia disgustoso il credere? Perché quelli dovrebbero impugnare la verità con argomenti sballati e difendere la falsità, mentre questi non dovrebbero riuscire né a difendere la verità né a confutare la falsità? Perché quelli con il loro dire dovrebbero riuscire a spaventare, rattristare, rallegrare, infiammare l’animo degli uditori muovendoli e sospingendoli verso l’errore, mentre questi altri, tardi e freddi nei confronti della verità, dovrebbero essere come addormentati? Chi potrebbe essere così balordo da pensare così?
– Sant’Agostino, De doctrina christiana, 4

Comunicare le proprie idee è importante, ma lo è ancor di più “saperle comunicare”, altrimenti rischiamo di impoverire o persino rendere insignificante anche il contenuto più prezioso che vogliamo comunicare. Perciò, se un tempo saper parlare in pubblico e incantare le folle era un valore aggiunto, frutto anche di studi sull’ars oratoria, oggi è una risorsa indispensabile. Lo è per chi fa business, per il politico, il giornalista, lo sportivo per non parlare degli insegnanti e per ogni evangelizzatore e cristiano ben formato. Nell’era della comunicazione tutto passa attraverso la capacità di saper trasmettere informazioni, di saper coinvolgere gli interlocutori e di saper lasciare il segno con i propri discorsi. Ma, a differenza di un tempo, oggi la tecnica oratoria non può non tener conto dell’epoca audiovisiva e digitale in cui viviamo. Siamo immersi in un flusso continuo di segmenti di suoni ed immagini, brevi e ad effetto, per cui un discorso, senza segmentazione e un buon accompagnamento audiovisivo, superando i dieci minuti viene qualificato come noioso e comunque non raggiunge l’effetto desiderato. Lo stesso Papa Francesco ha più volte invitato i sacerdoti ad essere sintetici nelle omelie e con il suo beneplacito la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha pubblicato un “direttorio omiletico” che offre a sacerdoti e seminaristi le coordinate metodologiche e contenutistiche da tener conto nel preparare e pronunciare un’omelia.

La prima cosa da tenere presente da parte di chi è chiamato a pronunciare un discorso pubblico è che i canali comunicativi sono fondamentalmente due: il verbale e il non-verbale (detto anche meta-linguaggio). Ebbene, la parte verbale incide nell’ascoltatore solo per il sette per cento, dieci a voler essere ottimisti con un uditorio specializzato e molto motivato sull’argomento! Ciò significa che puoi pronunciare il più bel discorso che mai tu ti sia potuto prepare a livello di contenuti, ma sappi che il tuo uditorio ne ricorderà forse solo il 7%. Ma se riesci a veicolare bene i tuoi contenuti con altri supporti che non siano esclusivamente verbali, allora il tasso di incidenza si moltiplicherà in modo esponenziale. Eccoti alcuni suggerimenti pratici:

1. Stare dalla parte dell’ascoltatore. Sembra ovvio, ma così non è. Quando ci si prepara per tenere un discorso, bisogna sempre chiedersi quale sarà il pubblico che ascolterà le nostre idee. È importante fare uno sforzo empatico: se io fossi nel pubblico che cosa vorrei sentirmi dire? Mettersi nei panni di chi ascolta è necessario. Se io ho davanti un pubblico molto preparato farò una trattazione diversa rispetto all’eventualità che il mio pubblico non sappia nulla o quasi di quello che andrò a dire. Purtroppo la stragrande maggioranza delle persone che si trovano a fare un discorso pensano più al che cosa vogliono dire piuttosto al chi diranno ciò che vogliono dire e così, alla fine, hanno parlato solo a sé stesse. Un professore universitario non può parlare nello stesso modo e con gli stessi termini tecnici in un’aula accademica o in salone parrocchiale, perché il suo pubblico, appunto, sarà diverso nella capacità di decodifica del messaggio.

2. Conoscere la cultura dell’uditorio. Per cultura non si intende qui solo la capacità intellettuale (bassa o alta) di chi mi ascolterà. Diverso è parlare ad un pubblico di anziani anziché ad uno formato da giovani o persino adolescenti; occorre usare linguaggi, termini, immagini molto diversi tra loro.
Non puoi perciò utilizzare un linguaggio tecnico – senza eventualmente spiegarlo bene – con un uditorio che non ha la tua stessa specializzazione (vedi per esempio quando buttiamo riferimenti biblici tipo «… come leggiamo in Zaccaria 3,14…» addosso ad un uditorio che non ha mai aperto la bibbia! verrebbero intesi come i numeri del lotto…). La comunicazione, in questi casi, è morta in partenza.
Usi e modi di fare locali sono altrettanto importanti da conoscere previamente per evitarsi gaffe. Se il pubblico è variegato sia a livello di età che di capacità culturale, è sempre bene tenere conto del livello più basso: non apparirete pavoni saccenti, tutti vi comprenderanno e i “piccoli” vi saranno grati per non averli esclusi a priori.

3. Parlare, non leggere in pubblico. Leggere il proprio discorso è sempre una trappola: il linguaggio scritto è diverso da quello parlato. Quando si scrive si usano termini differenti e le frasi hanno un ritmo adatto, appunto, alla lettura. Pertanto la lettura renderà il discorso monotono e nei casi più disperati a rettotono.

4. Il tono della voce. Ritmo e volume della voce sono fondamentali. Il nostro apparato uditivo è selettivo e in modo del tutto autonomo dalla nostra volontà elimina dalla nostra percezione i suoni uguali e ripetitivi (i cosiddetti rumori di fondo). Ebbene, i migliori discorsi pronunciati con monotonia sono come i rumori di fondo: non vengono ascoltati e ciò non per cattiva volontà dell’uditorio ma solo per un fattore fisiologico. Fate pertanto delle brevi pause lungo il vostro discorso, tra i periodi di senso compiuto, per creare delle escursioni tonali (volume della voce/pausa) che richiamano l’attenzione.

5. La gestualità. La comunicazione, come abbiamo accennato sopra, tiene conto oltre che delle parole (7%) anche del tono della voce (38%) e soprattutto del linguaggio del corpo (55%). L’espressività corporea è perciò fondamentale e dice molto di chi sta parlando, interferendo a volte pesantemente con ciò di cui sta parlando. Per esempio, le mani è bene che siano sempre visibili e tendenzialmente aperte: come a dire, sono qui, sono sincero, mi racconto e vi racconto. Le mani non si dovrebbero mai unire tra loro; tenerle in posizione adamitica indica disagio; tenere le braccia incrociate indica imbarazzo, paura; tenere le mani in tasca indica paura e talvolta strafottenza… e così via. Inoltre, il fare lunghe pause, magari muovendosi avanti e indietro nella sala, indica che non sai quello che vuoi dire, che non ne sei padrone.

6. Sincerità. Il pubblico rimane attratto dall’idea di trasparenza. Se percepisco che la persona che ho di fronte e che mi sta parlando è sincera sono più portato a stare attento e a credere in ciò che dice, entro in empatia con essa. Per quanto è possibile e opportuno, offrite sempre la vostra testimonianza personale sull’argomento.

7. Il contatto visivo. Parlare in pubblico vuol dire parlare al pubblico. Bisogna perciò cercare di guardare tutti, non i due o tre che conosciamo o quelli che vediamo che annuiscono sempre (magari solo perché sono nostri amici…); diventerebbe un discorso tra pochi dal quale gli altri ne resterebbero automaticamente esclusi. Se c’è troppa gente, si andrà a zone, senza però fissarsi solo su un’unica zona.

8. Osservare le reazioni. Guardare il pubblico non è solo buona educazione e opportunità di aggancio dell’attenzione, ma ci aiuta a capire come stiamo andando. Se troppe persone stanno smanettando con il telefonino, vuol dire che non siamo riusciti a catturare la loro attenzione. Se ci sono persone stravaccate, difficile che ci stiano ascoltando davvero. Qualcuno è con le braccia conserte? Forse è in un atteggiamento di attesa… Imparare a leggere i messaggi che ci vengono inviati può aiutare il ritmo del discorso ed eventualmente a cambiarlo nei contenuti e nei modi in corso d’opera.

Il Concilio Vaticano II ha scritto in un suo documento che Gesù è stato un grande comunicatore, anzi il “comunicatore perfetto” perché Egli è la Parola fatta carne:

Per mezzo della Sua incarnazione, Egli prese la somiglianza di coloro che avrebbero ricevuto il Suo messaggio, espresso dalle Sue parole e da tutta l’impostazione della Sua vita. Egli parlava pienamente inserito nelle reali condizioni del Suo popolo, proclamando a tutti indistintamente l’annuncio divino di salvezza con forza e con perseveranza e adattandosi al loro modo di parlare e alla loro mentalità.
– Communio et Progressio, 11

Gesù è stato certamente un grande comunicatore ma è stato anche un grande teorico della comunicazione. In genere noi incontriamo o dei teorici che spiegano in astratto come si fa a comunicare o dei pratici che sanno comunicare, senza saper dare delle regole. Gesù nel Vangelo fa l’una e l’altra cosa: dice come si fa e mostra come si fa.
Egli dice esplicitamente che la comunicazione alle masse va fatta solo attraverso le parabole (cfr Mt 13,10-15) e i ai discepoli che gli chiedono: “ma come mai? le parabole sono aperte e dicono tante cose, vanno interpretate, non si può fare un discorso più preciso, più dottrinale, più logico?”, Gesù risponde: “no, non si può fare, le parabole sono offerte a tutti, sono offerte a chi sa e vuole vedere e a chi sa e vuole udire, e se uno non ha orecchie per intendere o non vuole intendere è inutile, rimane fuori”.
Compito, dunque, di un buon comunicatore è dunque quello di saper “confezionare” il discorso perché tutto l’uditorio – specializzato o meno che sia – lo comprenda e ne acquisisca i contenuti di massima. Chi vuole approfondire, andare oltre, un po’ come i discepoli di Gesù, avanzerà richieste specifiche per una maggiore comprensione e/o acquisizione di contenuti.
Qualcuno di voi starà pensando: “Ma, appunto, Gesù era il perfetto comunicatore, era nato così, è Dio!” Ok, è vero. Ma per noi, comuni mortali, vale quanto disse J.F. Kennedy: «I migliori oratori danno l’impressione di improvvisare, ma in realtà si preparano tutto». Non occorre cioè avere delle doti innate – che comunque sono un gran dono – per saper comunicare, basta anche applicarsi un po’ prima di parlare in pubblico. Per questo vi sottoponiamo alcune altre semplici regole per comporre un discorso efficace.

1. Inserisci i contenuti che vuoi trasmettere in una o più storie e racconti, invece che limitarti a trasmettere mere informazioni. Significa che ogni discorso in pubblico dovrebbe iniziare e concludersi con una “storiella” parabolica. La prima, quella che lancia il discorso, dovrebbe essere divertente, accattivante (può essere anche una barzelletta), ma anche con un po’ di retrogusto amaro, così da far desiderare il “dolce” che voi gli andrete a servire con il vostro discorso.
L’ultima, anch’essa divertente, può contenere anche un insegnamento morale che riassume il succo del vostro discorso. State certi che tutti se la ricorderanno e sarà proprio questa storiella che farà anche ricordare al vostro uditorio i contenuti del vostro discorso.
N.B.: quando devi fare un discorso a partire da un brano biblico, preferisci le parabole o comunque storie bibliche che contengono immagini o che si possono immaginare mentre vengono lette; questa sarà la tua storia/narrazione iniziale con la quale iniziare il tuo discorso. Puoi concludere il tuo discorso ritornando sul brano o su uno che lo completa nel senso.

2. Coinvolgi il tuo pubblico con domande, invece di fare monologhi. Ma attenzione: non siamo a scuola per cui stai lì ad attendere che qualcuno ti dia la risposta esatta! Fai domande retoriche per cui tutti conoscono la risposta giusta senza doverla pronunciare ad alta voce oppure fai domande che sollecitano una risposta interiore individuale.

3. Usa un po’ di humor intelligente e adeguato al contesto in cui si svolge l’incontro, per sciogliere la tensione e per avvicinare a te il pubblico. Viceversa, se vuoi che il tuo uditorio rifletta, interiorizzi e agisca di conseguenza, non sviarlo con argomenti o battute che interromperebbero il processo interiore in atto.

4. Se puoi, parla in piedi, invece che seduto dietro un tavolo e/o il computer. Ma non andare avanti e indietro, a destra e a sinistra, costringendo l’uditorio a una ginnastica cervicale da far salire l’acido lattico! Buona cosa è quella di tenersi vicino uno sgabello alto dove ogni tanto fermarsi o un leggio con gli appunti dove appoggiarsi, soprattutto nei momenti in cui il discorso si fa importante.

5. Mantieni il contatto visivo con tutto il pubblico, abbraccialo con il tuo sguardo. Così come, nel parlare, con o senza il microfono, fai in modo che ti possa ascoltare bene la persona seduta all’ultimo posto: se ti sente e ti vede bene essa, tanto più chi sta avanti.

6. Apri il tuo discorso anticipandone i punti; poi affrontali e infine fai una sintesi dei punti importanti (dirò-dico-ho detto). E fai la sintesi di quanto è stato detto, prima di passare ad un nuovo argomento. Insomma, il discorso dovrebbe muoversi e allargarsi a spirale, in cui il precedente apre al seguente che lo sviluppa.

7. Usa con parsimonia gli audiovisivi, ma usali per quanto è possibile. Per le presentazioni in slide usa immagini simboliche significative e, se inserisci testi, usa caratteri immediatamente leggibili (senza inopportuni ghirigori). Nei testi non ci deve essere la copia del tuo discorso ma solo i titoletti che lo sintetizzano.

8. Se tieni un discorso informativo/formativo, parla al massimo venti/trenta minuti, fornendo con buona sintesi i contenuti fondamentali. Offri dieci minuti di coffee-break in modo tale che ognuno possa esternare con gli altri ascoltatori le proprie considerazioni su ciò che hai comunicato, in maniera libera, informale e distesa. Invitali però a scrivere le loro domande sull’argomento trattato a cui risponderai dopo la pausa. Proprio quelle domande ti forniranno il feedback di ciò che hanno capito del tuo discorso e soprattutto i loro veri interessi ed esigenze sull’argomento. La tua seconda parte dell’incontro sarà quella veramente utile e fruttuosa perché corrisponderà alle vere attese “pratiche” del tuo uditorio. Adesso che hai il polso della situazione e delle esigenze, potrai parlare per un’altra ora sapendo di avere la sua attenzione.