Una risposta di Dio alla disfunzione in cui è venuta a trovarsi la vita cristiana. Il Signore si è preoccupato, prima ancora della Chiesa, di questa disfunzione e ha suscitato qua e la nella Chiesa movimenti tendenti a rinnovare negli adulti l’iniziazione cristiana.
L’effusione dello Spirito non è un sacramento, ma si dice in rapporto ad un sacramento, anzi a più sacramenti: ai sacramenti dell’iniziazione cristiana. L’effusione attualizza e, per così dire, rinnova l’iniziazione cristiana. Il rapporto fondamentale è però, con il sacramento del Battesimo. La designazione «battesimo dello Spirito» con cui l’effusione veniva chiamata fino a poco fa e con cui è ancora chiamata dai nostri fratelli americani, non voleva dire altro che questo, cioè che si tratta di qualcosa che si fonda sul sacramento del battesimo. Noi diciamo che l’effusione dello Spirito attualizza e ravviva il nostro battesimo. Per capire come un sacramento ricevuto tanti anni fa, addirittura agli inizi della vita, possa improvvisamente ritornare a rivivere e a sprigionare tanta energia quanta ne vediamo in occasione dell’effusione, bisogna tenere presente alcuni elementi di teologia sacramentale. La teologia cattolica conosce l’idea di sacramento valido e lecito, ma «legato». Un sacramento si dice legato se il suo frutto rimane vincolato, non usufruito per mancanza di certe condizioni che ne impediscono l’efficacia. Un esempio estremo è il sacramento del matrimonio o dell’ordine sacro ricevuto in stato di peccato mortale. In queste condizioni tali sacramenti non possono conferire nessuna grazia alle persone; rimosso però l’ostacolo del peccato, con la penitenza, si dice che il sacramento «rivivisce» (reviviscit) grazie al carattere indelebile o, detto più biblicamente, grazie alla fedeltà e alla irrevocabilità del dono di Dio: “Dio resta fedele anche se noi siamo infedeli perché egli non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13).
Quello del matrimonio o dell’ordine sacro ricevuto in stato di peccato è un caso estremo ma sono possibili altri casi in cui il sacramento, pur non essendo del tutto legato, non è però del tutto sciolto, cioè libero di operare i suoi effetti. Nel caso del battesimo, che cos’è che fa si che il frutto del sacramento resti legato? Bisogna richiamare qui la dottrina classica dei sacramenti. I sacramenti non sono riti magici che agiscono meccanicamente, all’insaputa dell’uomo, o prescindendo da ogni sua collaborazione. La loro efficacia è frutto di una sinergia o collaborazione tra l’onnipotenza divina (in concreto: la grazia di Cristo o lo Spirito Santo) e la libertà umana, perché ha detto S. Agostino: “Chi ti ha creato senza il tuo concorso non ti salva senza il tuo concorso“. Ancora più precisamente, il frutto del sacramento dipende tutto dalla grazia divina; solo che questa grazia divina non agisce senza il «sì», cioè il consenso e l’apporto della creatura, che è più una conditio sine qua non che non una concausa. Dio si comporta come lo sposo che non impone il suo amore per forza, ma attende il «sì» libero della sposa.
L’opera di Dio e l’opera dell’uomo nel Battesimo
Tutto ciò che dipende dalla grazia divina e dalla volontà di Cristo, nel sacramento si chiama Opus Operatum, che possiamo tradurre: opera già realizzata, frutto oggettivo e immancabile del sacramento, quando è amministrato validamente. Tutto ciò che invece dipende dalla libertà e dalle disposizioni del soggetto si chiama Opus Operantis cioè: opera da realizzare, apporto dell’uomo. L’Opus Operantum del battesimo, cioè la parte di Dio o la grazia, è molteplice e ricchissima: remissione dei peccati, dono delle virtù teologali della fede, speranza e carità (queste sono in germe), figliolanza divina; il tutto operato mediante l’efficace azione dello Spirito Santo. “Battezzati, noi siamo illuminati; illuminati, siamo resi perfetti; resi perfetti riceviamo l’immortalità… Questa operazione del battesimo ha nomi diversi: grazia, illuminazione (fotismos), perfezione, bagno. Bagno per cui siamo purificati dai nostri peccati; grazia per la quale i castighi meritati per i nostri peccati sono tolti; illuminazione nella quale noi contempliamo la bella e santa luce della salvezza, cioè per la quale penetriamo con lo sguardo divino; perfezione perché nulla manca“(Clemente Alessandrino, Pedagogo 1,6,26). Il battesimo è davvero un ricchissimo pacco-dono che abbiamo ricevuto al momento della nostra nascita in Dio. Ma è un pacco dono ancora non svolto, sigillato. Noi siamo ricchi perché possediamo quel pacco (e perciò possiamo compiere tutti quegli atti necessari alla vita cristiana), ma non sappiamo cosa possediamo; parafrasando una parola di Giovanni, potremmo dire: “…noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che siamo non è stato ancora rivelato“(1Gv 3,2). Ecco perché diciamo che, nella maggioranza dei cristiani, il battesimo è un sacramento «legato». Fin qui l’Opus Operatum. Ma in che consiste nel battesimo l’Opus Operantis, cioè la parte dell’uomo? Consiste nella «fede!».”Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo“(Mc 16,16). Accanto al battesimo c’è dunque un altro elemento: la fede dell’uomo. Ci ricorda il prologo del Vangelo di Giovanni: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome“(Gv 1,12). Possiamo anche ricordare quel bel testo degli Atti degli Apostoli che narra del battesimo di un eunuco, funzionario della regina Candàce: “Proseguendo lungo la strada, giunsero ad un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse:«Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?» Filippo dice: «Se credi con tutto il cuore è permesso…»“(At 8,36-37). Il battesimo è come il sigillo divino posto sulla fede dell’uomo: “…dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto (si intende nel battesimo) il suggello dello Spirito Santo“(Ef 1,13). Scrive San Basilio:”In verità la fede e il battesimo, questi due modi della salvezza, sono legati l’uno all’altro e indivisibili, poiché se la fede riceve dal battesimo la sua perfezione, il battesimo si fonda sulla fede“(Sullo Spirito Santo,12,5, C. 17, P. 157). Lo stesso Santo chiama il battesimo: “sigillo della fede“(Contro Eunomio III, 5, P.G. 29,655). L’opera dell’uomo, cioè la fede, non ha la stessa importanza e autonomia dell’opera di Dio, perché nell’atto stesso di fede c’è una parte di Dio; è esso stesso opera della grazia che lo suscita. Tuttavia l’atto di fede comprende come elemento essenziale anche la risposta, il «credo» dell’uomo, e in questo senso noi lo chiamiamo opus operantis, cioè opera dell’uomo.
Il Battesimo alle origini della Chiesa e oggi
Si capisce, adesso, perché nei primi tempi della Chiesa il battesimo era un evento così potente e ricco di grazia e perché non c’era bisogno, normalmente di una nuova effusione dello Spirito, come quella che facciamo oggi. Il battesimo veniva amministrato ad adulti che si convertivano dal paganesimo e che, convenientemente istruiti, erano in grado di fare, in occasione del battesimo, un atto di fede e una scelta esistenziale libera e matura; basta leggere la Catechesi mistagogica sul battesimo, attribuita a Cirillo di Gerusalemme, per rendersi conto della profondità di fede cui erano condotti i battezzandi. Al battesimo insomma si arrivava attraverso una vera e propria conversione: per essi il battesimo era davvero un lavacro di rinnovamento personale, oltreché di “…rigenerazione e rinnovamento nello Spirito Santo” (Tt 3,5b). Mi ha impressionato un testo di San Basilio: a uno che gli aveva chiesto di scrivere un trattato sul battesimo, San Basilio risponde che non può spiegare cosa significa il battesimo senza aver spiegato prima cosa significa essere discepoli di Gesù poiché il comando del Signore dice: “Andate, e fate discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato” (Mt 28,19-20).
Perché il battesimo operi in tutta la sua forza bisogna che chi si accosta ad esso sia un discepolo, o sia intenzionato a diventarlo seriamente: “Discepolo è, come apprendiamo dal Signore stesso, chiunque si accosta al Signore per seguirlo, cioè per ascoltare le sue parole, credere e ubbidire a lui come a padrone e re e medico e maestro di verità… ora colui che crede nel Signore e si presenta come pronto al discepolato deve prima allontanarsi da ogni peccato, e poi anche da tutte le cose che distolgono dall’ubbidienza, per molte ragioni dovuta al Signore, anche se sembrino all’apparenza ragionevoli“(San Basilio, Sul battesimo I, 1 p. 121 SG.). La condizione favorevole che permetteva al battesimo, alle origini della Chiesa, di operare con tanta potenza era dunque questa: che l’opera di Dio e l’opera dell’uomo si incontravano contemporaneamente, c’era un sincronismo perfetto; avveniva come quando due poli si toccano e così fanno sprigionare la luce. Ora questo sincronismo si è rotto; ricevendo il battesimo da bambini venne a mancare a poco a poco un atto di fede libero e personale. Esso veniva supplito, ed emesso, per così dire, per interposta persona (genitori, padrini). Di fatto, una volta, quando tutto l’ambiente che circondava il bambino era cristiano e impregnato di fede, questa fede poteva sbocciare anche se più lentamente. Ma ora non è più così; la nostra condizione è venuta ad essere peggiore ancora di quella del Medio Evo: l’ambiente infatti in cui il bambino cresce non è tale da aiutarlo a sbocciare nella fede: non lo è spesso la famiglia, non lo è ancora più spesso la scuola e non lo è, meno che meno, la società e la cultura. Questo non significa affermare che non c’è, in questa situazione, una vita cristiana normale, né che sia mancata la santità e i carismi che l’accompagnano; solo che anziché un fatto normale, ciò è divenuto sempre più, agli occhi dei cristiani, un’eccezione. In questa situazione raramente, o mai, il battezzato arriva a proclamare “in Spirito Santo”: Gesù è il Signore!… e finché non si arriva a questo punto, tutto nella vita cristiana è sfuocato immaturo. Non avvengono più i miracoli; si ripete ciò che avvenne per i nazaretani: “Gesù non poté fare molti miracoli a causa della loro incredulità, della loro mancanza di fede“(Mt 13,58).
Il significato dell’effusione dello Spirito
Ecco allora il senso dell’effusione dello Spirito: Essa è una risposta di Dio alla disfunzione in cui è venuta a trovarsi la vita cristiana. In questi ultimi anni si sa che anche la Chiesa, i Vescovi hanno cominciato a preoccuparsi del fatto che i sacramenti cristiani, specialmente il battesimo, vengono amministrati a persone che poi non ne faranno alcun uso nella vita, e hanno prospettato la possibilità di non dare il battesimo quando manchino le garanzie minime che esso sia coltivato e valorizzato dal bambino. «Non si possono gettare le perle ai porci» come diceva Gesù, e il battesimo è una perla preziosa perché esso è il frutto del sangue di Cristo. Ma si direbbe che il Signore si è preoccupato, prima ancora della Chiesa, di questa disfunzione e ha suscitato qua e la nella Chiesa movimenti tendenti a rinnovare negli adulti l’iniziazione cristiana. La sua efficacia nel “riattivare” il battesimo consiste in questo: che finalmente l’uomo reca la sua parte, cioè faccia una scelta di fede, preparata nel pentimento, che permetta all’opera di Dio di «liberarsi» e di sprigionare tutta la sua forza. Come se la mano tesa di Dio finalmente incontrasse quella dell’uomo e, nella stretta, potesse far passare tutta la sua forza creatrice che è lo Spirito Santo. Come se, per usare un’immagine tratta dal mondo fisico, la spina venisse inserita nella presa e la luce finalmente si accendesse. Il dono di Dio viene finalmente «slegato» e lo Spirito si espande come profumo sulla vita cristiana Nell’adulto che ha già alle spalle una lunga vita cristiana, questa scelta di fede ha necessariamente il carattere di una «conversione». Potremmo descrivere l’effusione dello Spirito, per quanto riguarda la parte dell’uomo, sia come un rinnovamento del battesimo, che come una seconda conversione. Possiamo capire qualche cosa di più dell’effusione, vedendola in rapporto anche con la Confermazione (Cresima), almeno nella prassi attuale, in cui questo sacramento è staccato dal battesimo e amministrato in età avanzata. Oltre che un rinnovamento della grazia del battesimo, l’effusione è anche una «conferma» del proprio battesimo, un «sì» cosciente detto ad esso, ai suoi frutti e ai suoi impegni, e come tale si affianca (almeno per l’aspetto soggettivo di esso) a quello che opera, sul piano oggettivo e sacramentale, la confermazione: questa infatti è vista come un sacramento che sviluppa , conferma e porta a compimento l’opera del battesimo. L’effusione è una confermazione soggettiva e spontanea non sacramentale in cui lo Spirito Santo agisce non in forza dell’istituzione (sacramento), ma in forza della libera iniziativa dello Spirito e della disponibilità del soggetto. Dal riferimento alla confermazione, viene anche quello speciale senso di un maggiore coinvolgimento nella dimensione apostolica e missionaria della Chiesa che di solito si nota in chi riceve l’effusione dello Spirito. Ci si sente spinti a collaborare di più all’edificazione della Chiesa, al mettersi al sevizio di essa nei vari ministeri sia clericali che laicali, a dare testimonianza a Cristo; tutte cose, queste, che richiamano l’evento della Pentecoste e sono attualizzate nel sacramento della Cresima.
Amore fraterno, preghiera e imposizione delle mani nell’effusione dello Spirito
L’effusione dello Spirito non è l’unica occasione che si conosca nella Chiesa per questa riviviscenza dei sacramenti dell’iniziazione e in particolare dello Spirito Santo nell’anima in occasione del battesimo. C’è, per esempio, il rinnovamento delle promesse battesimali nella veglia pasquale, ci sono gli esercizi spirituali, c’è la professione religiosa, chiamata un “secondo battesimo” e, a livello sacramentale, abbiamo detto la Confermazione. Non è difficile poi scoprire spesso nella vita dei santi la presenza di una effusione spontanea, specialmente in occasione della loro conversione. Ecco per esempio cosa si legge di san Francesco al momento della sua conversione: “Terminato il banchetto, uscirono di casa. Gli amici gli camminavano innanzi; lui, tenendo in mano una specie di scettro, veniva per ultimo; ma invece di cantare, era assorto nelle sue riflessioni. D’improvviso, il Signore lo visitò e ne ebbe il cuore riboccante di tanta dolcezza, che non poteva muoversi né parlare, non percependo se non quella soavità, che lo estraniava da ogni sensazione…Gli amici, voltandosi e scorgendolo rimasto così lontano, lo raggiunsero e restarono trasecolati nel vederlo mutato quasi in un altro uomo. Lo interrogarono: «A cosa stai pensando, che non ci hai seguiti? Almanaccavi forse di prendere moglie?» Rispose con slancio: «E’ vero! Stavo pensando di prendermi in sposa la ragazza più nobile, ricca e bella che mai abbiate visto.» I compagni si misero a ridere. Francesco disse questo non di sua iniziativa, ma ispirato da Dio“(Leggenda dei tre compagni, 3,7). Dicevo che l’effusione dello Spirito non è l’unica occasione di rinnovamento della grazia battesimale. Essa però occupa un posto del tutto particolare per il fatto di essere aperta a tutto il popolo di Dio, piccoli e grandi, e non soltanto ad alcuni privilegiati che fanno gli esercizi spirituali ignaziani o che emettono la professione religiosa. Da dove proviene questa straordinaria forza che abbiamo sperimentato in occasione dell’effusione? Noi infatti non stiamo parlando di una teoria, ma di qualcosa che abbiamo sperimentato noi stessi, per cui possiamo dire come Giovanni: “…ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi,…ciò che le nostre mani hanno toccato,…questo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,1.3).
La spiegazione di questa forza è nella volontà di Dio: perché è piaciuto a Dio oggi rinnovare la Chiesa per questo mezzo e basta! Ci sono certamente dei precedenti biblici come quello narrato in Atti 8,14-17, quando Pietro e Giovanni, saputo che la Samaria aveva accolto la parola di Dio, vi discesero, pregarono per loro, e imposero loro le mani perché ricevessero lo Spirito Santo. Ma questi precedenti biblici, per altro rari e non univoci nel significato, non bastano a spiegare la vastità e la profondità del fenomeno odierno legata all’effusione dello Spirito. La spiegazione dunque è nel disegno di Dio. Potremmo dire, parafrasando un detto famoso dell’Apostolo: “Poiché i cristiani, con tutta la loro organizzazione, non hanno saputo trasmettere la potenza dello Spirito, è piaciuto a Dio rinnovare i credenti mediante la stoltezza dell’effusione. I teologi infatti cercano spiegazione e le persone responsabili cercano moderazione, ma i semplici toccano con mano la potenza di Cristo nell’effusione” (cfr 1Cor 1,21-24). Noi uomini e in particolare noi uomini di Chiesa, tendiamo a lesinare a Dio la sua libertà; tendiamo a tracciargli dei percorsi obbligati (i cosiddetti canali della grazia), dimenticando che Dio è un torrente che straripa e si crea da solo il proprio letto e che lo Spirito soffia dove e come vuole.
In che consiste l’effusione e come agisce? Nell’effusione c’è una parte segreta, misteriosa di Dio ed è il suo modo di farsi presente, di agire che è diverso per ognuno perché lui solo ci conosce nell’intimo e può agire e valorizzare la nostra inconfondibile personalità; e c’è una parte palese, della comunità, che è uguale per tutti e che costituisce una specie di segno, con una certa analogia rispetto a quello che sono i segni dei sacramenti. La parte visibile o della comunità, consiste soprattutto in tre cose: amore fraterno, imposizione delle mani e preghiera. Sono elementi non sacramentali, ma semplicemente ecclesiali. L’imposizione delle mani può avere due significati: un significato di invocazione e un significato di consacrazione. Vediamo, per esempio, presenti entrambi questi tipi di imposizione delle mani nella Messa: c’è una imposizione delle mani di carattere invocatorio (almeno per noi latini) ed è quella che il sacerdote fa sulle offerte al momento dell’epiclesi, quando prega dicendo: “Lo Spirito Santo santifichi questi doni perché diventino il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo“; e c’è una imposizione delle mani consacratoria ed è quella che fanno i celebranti sulle offerte al momento della consacrazione. Nel rito stesso della cresima, come si svolgono oggigiorno, vi sono due imposizioni delle mani: una di carattere invocatorio e un’altra consacratoria che accompagna il gesto dell’unzione sulla fronte, nella quale si realizza il sacramento vero e proprio. Nell’effusione dello Spirito l’imposizione delle mani ha un carattere soltanto invocatorio (sulla linea di ciò che incontriamo in Gen. 48,14; Lev. 9,22; Mc.10 13-16; Mt.19 13-15). Ha anche un valore altamente simbolico: richiama l’immagine dello “Spirito Santo che copre con la sua ombra” (Lc 1,35); ricorda anche “lo Spirito Santo che aleggiava sulle acque” (Gen 1,2c). Questo simbolismo del gesto dell’imposizione delle mani è messo in luce da Tertulliano quando parla dell’imposizione delle mani sui battezzati: “La carne è adombrata dall’imposizione delle mani perché l’anima sia illuminata dallo Spirito” (Sulla risurrezione dei morti, 8,3). C’è un paradosso, come in tutte le cose di Dio: l’imposizione delle mani illumina adombrando, come la nube che seguiva il popolo eletto nell’Esodo e come la nube che avvolse i discepoli sul Tabor (cfr. Mt 17,5). Gli altri due elementi sono, abbiamo detto, la preghiera e l’amore fraterno; potremo dire: l’amore fraterno che si esprime in preghiera. L’amore fraterno è segno e veicolo dello Spirito Santo; lo Spirito Santo che è l’Amore, trova nell’amore fraterno il suo ambiente naturale, il suo segno per eccellenza. Non si esagera mai abbastanza l’importanza di un clima di vero amore intorno al fratello che deve ricevere l’effusione. Anche la preghiera è messa in rapporto stretto, nel Nuovo Testamento, con l’effusione dello Spirito Santo. Del battesimo di Gesù si dice che: “mentre stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo” (Lc 3,21-22). Fu la preghiera di Gesù, si direbbe, a far aprire i cieli e a far scendere su di lui lo Spirito Santo. Anche l’effusione della Pentecoste avvenne così: “Mentre tutti costoro erano perseveranti nella preghiera, …venne dal cielo un rombo come di tuono e apparvero lingue di fuoco…” (cfr. At 1,14-2,1ss). Del resto Gesù stesso aveva detto: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore” (Gv 14,16). Ogni volta l’effusione dello Spirito è messa in rapporto con la preghiera. Questi segni: l’imposizione delle mani, la preghiera e l’amore fraterno parlano tutti di semplicità, sono strumenti semplici. Proprio in questo essi recano il marchio delle azioni di Dio:”non c’è nulla – scrive Tertulliano a proposito del battesimo – che lascia così attonite le menti degli uomini come la semplicità delle azioni divine che si vedono in atto e la magnificenza degli effetti che vengono conseguiti… le proprietà di Dio sono: semplicità e potenza” (Sul battesimo, 2,1 ss).
Il contrario di ciò che fa il mondo: nel mondo più sono grandi gli obbiettivi da conseguire più l’apporto dei mezzi è complicato; quando poi si vuole arrivare sulla luna questo apparato diventa gigantesco. Se la semplicità è il marchio dell’agire divino, bisogna preservare assolutamente questo marchio nel conferire l’effusione dello spirito. Per questo la semplicità deve risplendere in tutto: nella preghiera e nei gesti; niente cose teatrali, gesti eccitati, multiloquio ecc…..La Bibbia fa notare, a proposito del sacrificio del Carmelo, il contrasto stridente tra l’agire dei sacerdoti di Baal che gridano, danzano da scalmanati e si fanno incisioni a sangue, e l’agire di Elia che prega invece semplicemente così: “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe…rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!” (1Re 18,25-38). Il fuoco del Signore calò sul sacrificio di Elia e non su quello dei sacerdoti di Baal. Elia stesso, poco dopo, fece l’esperienza che Dio non era nel vento impetuoso, non era nel terremoto, non era nel fuoco, ma era nel mormorio di un vento leggero (cfr.1 Re 19,11-13). Da dove viene la grazia che si sperimenta nell’effusione? Dagli astanti?… No!… Dal soggetto che la riceve?… No!… Viene da Dio! Non ha senso chiedersi se viene da dentro il soggetto o da fuori: Dio è dentro e fuori. Possiamo solo dire che tale grazia ha rapporto con il battesimo perché Dio agisce sempre con coerenza e con fedeltà, non fa e disfà. Egli fa onore all’impegno e all’istituzione di Cristo. Una cosa è certa: non sono i fratelli a conferire lo Spirito Santo; essi non danno lo Spirito Santo al fratello, ma invocano lo Spirito Santo sul fratello. Lo Spirito non può essere dato da nessun uomo, neppure dal Papa o dal vescovo, perché nessun uomo possiede in proprio lo Spirito Santo. Solo Gesù può dare in senso proprio lo Spirito Santo; gli altri non possiedono lo Spirito Santo, ma piuttosto sono posseduti da lui. Quanto al modo di questa grazia possiamo parlare di una nuova venuta dello Spirito Santo, di una nuova missione da parte del Padre attraverso Gesù Cristo o di una nuova unzione corrispondente al nuovo grado di grazia. In questo senso, l’effusione, se non è un sacramento, è però un evento spirituale: questa potrebbe essere la definizione che più si avvicina alla realtà. Un evento, dunque qualcosa che avviene, che lascia il segno, che crea una novità in una vita; ma un «evento spirituale» (non storico). Spirituale perché avviene nello spirito, cioè nell’interiore dell’uomo e gli altri possono benissimo non accorgersi di nulla; spirituale, soprattutto perché esso è opera dello Spirito Santo. Concludo questo insegnamento con un bel testo dell’apostolo Paolo che parla proprio della riviviscenza del dono di Dio, Ascoltiamolo come un invito a ciascuno di noi:
Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te
per l’imposizione delle mani.
Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza,
ma di forza, di amore, di saggezza.
(2Tm 1,6-7)
P. Raniero Cantalamessa, ofm capp.
Predicatore della Casa Pontificia
[FONTE: Aleteia.org]