Il giovane seduto

Cosa avrà avuto da dire il figlio della vedova di Nain una volta risuscitato? C’è qualcosa che possiamo imparare da giovani che come lui sono tornati dalla morte per una nuova vita in Cristo?

Perché il figlio della vedova di Nain, immediatamente dopo essere stato risuscitato da Gesù, si siede e si mette a parlare?

Si era appena concluso il worship che ad inizio giugno a Pergusa è stato proposto da alcuni giovani partecipanti alla GJ-School e che dall’episodio evangelico della risurrezione del ragazzo di Nain (cfr Lc 7,11-17) aveva preso il titolo: “Ragazzo, dico a te: Alzati!”, che mi viene posta la domanda: Gesù ha detto a questo ragazzo di alzarsi, ma invece si mette seduto a parlare. Come mai? Che significa?

Non so se qualcuno si sia mai soffermato a riflettere su questo particolare dell’episodio, certamente io non vi avevo fatto caso. Sono sempre andato dritto a quanto avviene dopo, cioè il cambio di atteggiamento e di direzione del corteo che esce dalla città di Nain: prima funereo e piangente poi festante e glorificante Dio; prima avviato verso il cimitero, la città dei morti, poi rientrante nella città dei vivi. Ciò su cui mi sono sempre soffermato è stata la capacità di un giovane che tornando alla vita fa cambiare direzione e atteggiamento a tutta una città, non solo alla sua povera mamma.

E, invece, chi mi ha sottoposto la questione mi ha costretto a fermarmi dinanzi a quel giovane. Luca scrive che quel giovane morto, all’appello di Gesù ad alzarsi, “si mise seduto e cominciò a parlare” e solo dopo verrà restituito alla madre. È un dettaglio che Luca avrebbe potuto benissimo saltare se non l’avesse ritenuto importante. La mia povera conoscenza dei testi biblici mi ha subito suggerito la risposta. Infatti, chi ha un minimo di conoscenza dei vangeli sa che il parlare da seduti è l’atteggiamento tipico dei maestri di Israele. Particolarmente nel Vangelo di Matteo Gesù lo ritroviamo costantemente seduto, attorniato dai suoi discepoli a cui rivolge i suoi insegnamenti. Anche Luca ci presenta più volte Gesù che da seduto insegna ai suoi discepoli. C’è qualcosa di solenne in questo stare seduto da parte di Gesù perché è proprio in questi momenti, con i discepoli ai suoi piedi, che rivela i misteri del suo regno, la nuova legge dell’amore, il modo di relazionarsi con il Padre e i fratelli e così via. In questi momenti, vissuti spesso “in disparte”, in profonda intimità con i suoi discepoli, Gesù dischiude il suo cuore e li fa entrare in quell’amore che lo lega al Padre e a cui vuole anche legare i suoi discepoli. Proprio in questi momenti Gesù li forma alla missione, preparandoli anche ai combattimenti spirituali e alle persecuzioni che ne riceveranno.

La Chiesa ha fatto suo questo modo solenne di insegnare, mutuandolo dall’uso ebraico. I vescovi, successori degli apostoli, ancora oggi guidano le diocesi loro assegnate e rivolgono ai fedeli i propri insegnamenti più solenni nelle chiese cattedrali il cui nome deriva appunto dal fatto di essere le chiese in cui è collocata la “cattedra” su cui solo il vescovo titolare della diocesi può sedere e da lì esercitare il suo ministero di maestro e di guida.

Ma, allora, cosa cosa ha detto, da seduto, quel giovane appena risuscitato? Cosa avrà avuto da insegnare? Sinceramente non lo so. Ma so per certo una cosa: che noi adulti, soprattutto noi in quanto Chiesa, diamo poco ascolto ai giovani, soprattutto a quei giovani che hanno fatto esperienza di risurrezione. Essi sono quelli che più di chiunque altro possono insegnarci la misericordia di Dio poiché sono quelli che hanno fatto l’esperienza del peccato e della morte spirituale, ma anche dell’allontanamento da Dio spesso provocato da una comunità ecclesiale che ha tradito la sua missione di testimonianza evangelica, di ascolto, di comprensione, di ricerca e accoglienza pastorale delle pecore smarrite, di carità indiscriminata…

Guardando alla Chiesa di oggi in generale, soprattutto quella europea, e in particolare le sue diocesi e parrocchie, mi sembra di vedere l’inconsolabile madre-vedova di Nain che, piangente e impotente, accompagna ogni giorno i suoi figli più giovani al cimitero… “e molta gente della città” le piange dietro! Vedo in tutto ciò la rassegnazione di una Chiesa che si vede ogni giorno sempre più scippare i suoi figli. Li ha fatti nascere alla fede con il battesimo, poi li ha educati e nutriti con i sacramenti dell’iniziazione cristiana e immediatamente dopo se li vede strappare dal suo grembo dal maligno che con le sue seduzioni li conduce alla morte, proprio nel momento in cui dovrebbero iniziare ad essere protagonisti della vita.

Spesso, ascoltando le testimonianze di alcuni giovani delle Porziuncole che hanno fatto l’esperienza non solo dell’allontanamento fisico-spirituale da Dio e dalla Chiesa, ma di una vera e propria morte spirituale nel tunnel della droga o del sesso, mi sono chiesto: Dove abbiamo sbagliato?! Mi accorgo, da quelle testimonianze di morte e risurrezione, che non i “rappresentanti” istituzionali della Chiesa – i sacerdoti e i religiosi – ma dei laici sono stati strumenti del loro incontro con Gesù. Hanno conosciuto e sperimentato la misericordia di Gesù attraverso altre persone, spesso giovani, che hanno a loro volta fatto la medesima esperienza di morte e risurrezione. Ed è in questi momenti che mi viene in mente la parabola della trave e della pagliuzza nell’occhio (cfr Mt 7,3-5). Gesù non dice che non bisogna giudicare, ma di esercitare un giudizio (di misericordia) a partire dall’esperienza del proprio peccato e della misericordia ricevuta: Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Troppo spesso, però, come Chiesa ciò che sappiamo fare è solo giudicare e condannare senza misericordia le nuove generazioni che hanno sbattuto la porta dietro di sé a Dio e alla Chiesa. Non ci preoccupiamo di ascoltare le loro ragioni.

Abbiamo allora molto da imparare da quei giovani “risuscitati” da Gesù. Spesso godiamo nell’ascoltare quanto il Signore ha compiuto nelle loro vite. Quelle testimonianze aprono davvero il cuore di altri giovani che il Signore sta attirando a sé per ricominciare una nuova vita. Ma quanto ci preoccupiamo anche di imparare qualcosa da queste storie?

Spesso come Chiesa, nei nostri pastori e nelle nostre istituzioni, pensiamo di poter imparare qualcosa dall’ascolto di chi non si è mai allontanato o da chi, standosene fuori, vuole insegnarci ad essere Chiesa e a svolgere la missione secondo modelli secolari o strizzando l’occhio alle medesime armi che satana usa per allontanare i giovani dalla fede; penso alle cosiddette “cristoteche” o a certi balli “di evangelizzazione” ostentati in piazza da frati e suore dal sapore latino-americano in salsa merengue… o a certi modi di vivere alla “centro sociale” l’associazionismo giovanile cattolico, in cui si parla di tutto tranne che di Gesù.

Se c’è una cosa che ho imparato dai giovani che sono tornati alla vita in Cristo è che essi hanno bisogno di qualcuno che non li condanni senza appello o al contrario li assecondi nel loro peccato, ma che li strappi con le armi dello Spirito dal potere del maligno. Da essi ho sempre ascoltato parole di gratitudine per quel fratello o quella sorella che il Signore gli ha messo accanto per annunciargli la Parola di salvezza, la Misericordia che salva, la Grazia che risuscita. Ho imparato da essi quanto è stato importante essere stati spinti e convinti ad avere un incontro personale con Gesù nell’Eucaristia e allo stesso tempo aver potuto incontrare dei giovani che hanno messo al centro della loro vita Gesù e che vivono in lui una profonda comunione fraterna.

Quel ragazzo del vangelo si trovò nel mezzo tra un corteo addolorato e preoccupato per la madre-vedova e un corteo gioioso al seguito di Gesù che gli andava a sbattere contro. Ma “il Signore fu preso da grande compassione” e ferma entrambi i cortei mettendo al centro dell’attenzione quel giovane. Gesù lo risuscita con la potenza di una sola parola – Alzati!-Risorgi! – e lo fa parlare da seduto alla stregua di un maestro.

Sono convinto che l’evangelista Luca, non trascurando questo elemento, abbia quasi voluto dirci di stare bene attenti che la gioia di seguire Gesù ci distragga dal guardare al dramma che quotidianamente si consuma accanto a noi o, al contrario, di starci a piangere addosso perdendo la fede e la speranza nella Potenza di Dio. Sì, fermiamoci ad ascoltare chi ha sperimentato sia le profondità del peccato e della morte sia la compassione, la misericordia, la potenza e la vittoria di Cristo su di essi. Avremo tutti qualcosa da imparare per essere discepoli ed evangelizzatori migliori.

fra’ Saverio Benenati