Tutto fa brodo?

La Nuova Evangelizzazione non è e non può essere un’operazione di trasformismo ecclesiale che ricicla come in un pentolone la solita minestra. I fugaci entusiasmi derivanti da un facile proselitismo rischiano di far prendere ai giovani delle serie scottature che produrranno quell’ulteriore allontanamento che è sotto gli occhi di tutti.

Già ai tempi di Giovanni Paolo II e soprattutto oggi, tentando di cavalcare maldestramente l’onda evangelizzatrice travolgente di Papa Francesco, ci sono stati e ci sono tuttora personaggi di chiesa che usano la parola “evangelizzazione” o “nuova evangelizzazione” come un capo di abbigliamento. La formula è abbastanza semplice: si prende qualcosa che si è sempre fatto, gli si appiccica l’etichetta di Nuova Evangelizzazione, è il gioco è fatto! Così l’omelia domenicale, noiosa come sempre e priva di contenuti kerygmatici, diventa Nuova Evangelizzazione; la benedizione di un negozio o di una casa diventa Nuova Evangelizzazione; il gruppetto di giovani che si mette alle porte della chiesa o in piazza a cantare “Forza venite gente” diventa Nuova Evangelizzazione; i frati che ballano in piazza il waka-waka diventa Nuova Evangelizzazione; aprire una chiesa di sera con Gesù Eucaristia solennemente esposto sull’altare diventa Nuova Evangelizzazione… e potremmo continuare così nell’elencare questa maldestra quanto infruttuosa operazione di trasformismo ecclesiale. Ma non sarà certo il buttare nel pentolone della Nuova Evangelizzazione ogni rimasuglio clericalista e l’assoluta incapacità di rinnovamento della mente e del cuore che otterrà alla Chiesa e alle nostre singole comunità l’Evangelii Gaudium frutto, appunto, della Nuova Evangelizzazione. Al più si otterranno i frutti di un malcelato proselitismo trionfalistico all’interno di strutture desuete incapaci di reggere il lungo termine.

Cosa è, dunque, la Nuova Evangelizzazione? Quali i suoi obiettivi? Da quali frutti la si riconosce?

La prima volta che san Giovanni Paolo II ne parla è nel 1979 durante un viaggio apostolico in Polonia, a Nowa Huta: «Abbiamo ricevuto un segno, che cioè alla soglia del nuovo millennio – in questi nuovi tempi, in queste nuove condizioni di vita – torna ad essere annunziato il Vangelo. È iniziata una nuova evangelizzazione, quasi si trattasse di un secondo annuncio, anche se in realtà è sempre lo stesso».
Nel corso degli anni successivi egli espliciterà meglio in cosa consista la novità; così ad Haiti, durante l’incontro della Conferenza Episcopale Latino-Americana nel 1983: «Nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nelle sue espressioni».

Giovanni Paolo II, nel 1987 incoraggiò i vescovi francesi in visita ad limina «a formare i vostri cristiani alle responsabilità, a promuovere con essi una nuova evangelizzazione». E nel 1988, durante un pellegrinaggio in Francia, specificò che «il punto di partenza della nuova evangelizzazione, è sempre Cristo, il salvatore dell’uomo. I popoli di oggi aspettano la buona novella: Dio è fedele alla sua alleanza con l’umanità, attraverso il Figlio offerto in sacrificio per noi tutti, risorto il terzo giorno, presente con noi fino alla fine dei secoli. La sua luce penetra le tenebre del dubbio. I muri dell’odio vengono abbattuti. Il peccatore viene redento. Il perdono viene offerto fino all’ultimo giorno. La tavola viene imbandita per la comunione nell’amore. A conclusione di questo secondo millennio, l’appello evangelico si rivolge ad ogni uomo, ricco della sua cultura e della sua storia, ma incerto sul senso del suo cammino. Che egli si rivolga verso la verità intera, “che intraprenda il cammino della conversione”. Con il Cristo che gli schiude una nuova vita, egli dirà: “Tu sei mio Padre, mio Dio e roccia della mia salvezza” (Sal 89, 27)».

La Nuova Evangelizzazione è dunque l’incontro con Gesù ed esige innanzitutto un rinnovamento di coloro che evangelizzano: «In realtà, il richiamo alla nuova evangelizzazione è prima di tutto un richiamo alla conversione. Infatti, attraverso la testimonianza di una Chiesa sempre più fedele alla sua identità e più viva in tutte le sue manifestazioni, gli uomini e i popoli di tutto il mondo, potranno continuare a incontrare Gesù Cristo» (ai vescovi latino-americani il 12 ottobre 1992 a Santo Domingo).

Alla base, dunque, della Nuova Evangelizzazione c’è l’annuncio kerygmatico di Cristo, la buona notizia dell’amore infinito del Padre per l’uomo rivelatoci in Cristo Gesù, crocifisso e risorto.

Già la definizione di kerygma e del suo contenuto essenziale sembra rappresentare per molti uomini di chiesa una difficoltà, tanto che Papa Francesco in vari modi e più volte ha tentato di definirne i tratti nell’Evangelii Gaudium: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti” (EG 164).

Premesso, ma non dato necessariamente per scontato, cosa sia il kerygma, ciò che lo caratterizza come “nuovo” sono l’ardore, i metodi e le espressioni, adeguati alle novità culturali e comunicative del mondo di oggi. In questo senso possiamo definire la Nuova Evangelizzazione come Evangelizzazione-in-linea con l’uomo di oggi, con le sue capacità culturale e comunicativa; con i progressi, le sfide e le povertà del mondo secolarizzato e globalizzato di oggi; con quel “mondo” che è rappresentato da ogni singolo individuo a cui l’annuncio si rivolge.

Papa Francesco, ancora nell’Evangelii Gaudium, esorta i fedeli, a tutti i livelli, a concentrarsi sull’essenziale, evitando una pastorale “ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere” (35): “in questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (36). Succede che si parli “più della legge che della grazia, più della Chiesa che di Gesù Cristo, più del Papa che della Parola di Dio” (38). “A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature” dice: “in seno alla Chiesa … le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola” (40). E così, riguardo al necessario rinnovamento ecclesiale, Papa Francesco afferma che occorre riconoscere che esistono consuetudini della Chiesa “non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia”: “non abbiamo paura di rivederle”. (43).

“Si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore” (78); in altri si nota “una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana” (79). “La più grande minaccia” è “il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità”. Si sviluppa “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo” (83).

È questo il grande rischio, sotto gli occhi di molti, Papa compreso, di una pastorale di proselitismo, attenta ai numeri e alle attività, piuttosto che alla singola persona chiamata ad accogliere, far maturare ed esprimere la Vita Nuova in Cristo a seguito di un “incontro personale con Gesù Cristo” (cfr EG 3). Il Grande Mandato di Gesù è chiaro: formare discepoli capaci a loro volta di mettere in gioco la propria vita per Cristo e il Vangelo diventando a loro volta evangelizzatori (cfr Mt 28,19-20; 2Tm 2,2). È un lavoro di cesello dove colui che ha incontrato Gesù viene formato da una comunità evangelizzata ed evangelizzatrice a vivere da discepolo e apostolo di Gesù. Non si tratta di mettere i “nuovi arrivati” dentro il pentolone di sempre, quasi fossero sedano, carote, cipolle e vecchie galline… La Nuova Evangelizzazione esige Nuove Strutture, anzi Strutture Rinnovate alla luce della Chiesa discepolante e apostolica delle origini: perseveranti nell’ascolto della Parola per “osservare” cioè “imparare a vivere” una vita autenticamente evangelica, attorno a Gesù Eucaristia, all’interno di una comunità carismatica e comunionale-caritativa (cfr At 2, 42-47), in cui ogni singolo membro non è mai spettatore passivo, bensì protagonista e portatore responsabile del mandato di annunciare a propria volta il Vangelo e di formarne altri alla pari se non meglio del proprio maestro (cfr Lc 6,40), come Pietro che fu condotto a Gesù da Andrea, come l’evangelista Marco alla scuola di Pietro, come l’apostolo Paolo che fu formato da Barnaba, come i discepoli di Antiochia che per primi furono riconosciuti e chiamati “cristiani”…

È questo, infatti, il frutto dell’evangelizzazione: essere riconosciuti come uomini e donne che vivono una vita nuova IN Cristo, CON Cristo e PER Cristo e per questo amanti, fino al sacrificio di sé, dell’uomo perché si converta e viva a sua volta la gioia del Vangelo.

Nel nostro ambito ecclesiale di pastorale giovanile, il rischio, non percorrendo questa strada con i suoi mezzi adeguati e il perseguimento dei suoi frutti naturali, è quello di sempre: anziché amare i giovani dando loro il nostro tesoro più prezioso che è Gesù, servirsi di essi per mantenere strutture, attività e uno standard quantitativo e qualitativo che relega i giovani al ruolo di comitive rumorose, pizzavole, teatranti, ugole riempitive di liturgie stanche, numero di banchi da riempire alla messa domenicale, istantanee da esibire su Facebook quali trofei di un safari… seguaci delle persone o del gruppo ecclesiale piuttosto che di Cristo e del suo Vangelo.

Cari giovani, accogliete l’appello-invito della Pasqua: Non temete! Non abbiate paura di accogliere Gesù nella vostra vita e di lasciarvela stravolgere! «Noi cristiani non siamo scelti dal Signore per cosine piccole, andate sempre al di là, verso le cose grandi. Giocate la vita per grandi ideali!» (Papa Francesco, Omelia nella Messa per i cresimandi, 28 aprile 2013) e non permettete ad alcuno di soffocare quella speranza che siete per la Chiesa e per il mondo che lo stesso Gesù ha infuso nei vostri cuori. Non fatevi ripiegare su vie apparentemente comode, tranquille, magari esplosivi ma rinchiusi fra quattro mura che non vi mettono a disagio nel confronto con il mondo. La «misura alta della vita cristiana ordinaria» (cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 31), significa andare controcorrente e comporta incontrare anche ostacoli, fuori di noi e dentro di noi. Ma la vera gioia dei chiamati consiste nel credere e sperimentare che Lui, il Signore, è fedele, e con Lui possiamo camminare, essere discepoli e testimoni dell’amore di Dio. (cfr Papa Francesco, Messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni 2014, 4)

È questa la vostra vocazione, quella di ogni discepolo di Cristo. In essa, ai piedi di Gesù Eucaristia, in religioso ascolto della sua Parola, sapremo scoprire le nostre personali vocazioni-missioni, sponsali o religiose-sacerdotali, a cui il Signore ci chiama per essere suoi testimoni fino ai confini del mondo a partire dalle periferie morali ed esistenziali delle nostre città e talvolta – ahimé! – anche delle nostre comunità ecclesiali.

fra’ Saverio Benenati